[6] N. Djokovic b. [21] K. Nishikori 6-3 6-4 6-2
Alcuni giocherelloni avevano presentato la seconda semifinale dello US Open come una specie di rivincita. Il riferimento, ovviamente, è alla famigerata edizione del 2014, quando il giapponese Kei Nishikori superò il serbo Novak Djokovic giocando una partita meravigliosa in costante anticipo, come forse aveva fatto solo un’altra volta in carriera, a Madrid, sulla terra rossa, contro Nadal. Il fatto è che quel match, che portò gli scontri diretti sul due pari, è stato vendicato tante di quelle volte da aver perso il conto. Djokovic si legò al dito quella partita, e da allora Kei Nishikori contro Djokovic non vinse più. Peggio: ha subito una serie di lezioni da far arrossire un principiante. Dieci sconfitte di file, alcune in partite importantissime come finali di Masters 1000 o semifinali delle Finals londinesi e anche un paio di quarti di finale Slam. Quindi chi mai potrebbe essersi sorpreso del 3-0 iniziale per il serbo, guadagnato esattamente come nelle dieci partite ricordate e cioè sostanzialmente rifugiandosi sul dritto di Nishikori quando serviva il punto? Purtroppo per il giapponese, quel colpo è una specie di kryptonite per lui, e Djokovic si è giustamente avventato come un qualsiasi epigono di Lex Luthor. Fatto immediatamente (più o meno, Nishikori è caduto solo alla quinta opportunità per il serbo) il break Djokovic ha tenuto una costante velocità di crociera nn troppo elevata, ma sufficiente per tenere distante il giapponese. Nishikori si è trovato un paio di volte avanti di un “15” sul servizio di Nole, ma in quei casi è bastato mettere un po’ d’attenzione sul servizio e il problema si risolveva da solo. A contrario, sul servizio di Kei, troppo spesso sembrava che a Djokovic potesse bastare forzare un po’ per aumentare il divario, cosa che non è successa più per il buon cuore del serbo che per l’effettiva difficoltà procuratagli da Kei. Ad ogni modo, Djokovic rispolverava anche qualcuno dei suoi marchi di fabbrica – soprattutto il lungolinea di rovescio, che finendo sul dritto di Nishikori poteva essere giocato senza particolari rischi – ma era il servizio che bastava per chiudere il primo set col vantaggio del break di partenza.
Il secondo set cominciava con dei giochi d’artificio, perché Nole saliva immediatamente 0-30 in un interminabile primo game, che Nishikori riusciva sorprendentemente a non perdere, nonostante la disastrosa percentuale di prime, le quattro palle break, e il misero 30% di realizzazione sulla seconda. Non solo, ma misteriosamente Nole andava in confusione e nel game successivo, addirittura con un doppio fallo, il secondo del game, regalava la prima palla break a Nishikori. Era stavolta il rovescio a tradire il giapponese, mentre nei due punti successivi il dritto prima faceva, grazie ad un attacco in lungo linea, chiuso da un facile smash, poi disfava, finendo miseramente sulla rete durante la seconda palla break. La pausa durava un paio di game, perché al quinto Nishikori si trovava di nuovo nei guai, precipitando sullo 0-40 in pochi secondi. Come in occasione del secondo game del primo set il giapponese risaliva fino al 40 pari grazie anche ad un coraggioso attacco sulla terza palla break, ma era ancora il dritto a tradire Kei, finendo due volte di fila in tribuna e regalando, all’ottava opportunità il break a Nole. Di nuovo, tanto bastava, perché Nishikori teneva i suoi servizi ma non riusciva più ad avvicinarsi a Nole, che chiudeva alla prima occasione.
Terzo set sostanzialmente senza storia, con Nishikori che cede il servizio al terzo game e poi non riesce ad evitare una sconfitta più dura, cedendo ancora il settimo game, nonostante, forse libero dalla pressione, diventa un po’ meno falloso col dritto. Davvero tutto troppo facile per Djokovic, che ha avuto una specie di autostrada per arrivare in finale, complice il suicidio di Federer contro Millman e che ha dunque inflitto l’undicesima sconfitta di fila ad un Nishikori, che oltra al già sin troppo citato dritto, poco all’altezza di una semifinale di questo prestigio, ha problemi non piccoli con una seconda di servizio sin troppo tenera. Djokovic nonsi è accanito più di tanto, ma se fosse servito avrebbe avuto ancora un’arma a disposizione. Il serbo, che sembrava decisamente al tramonto all’inizio della stagione, raggiunge la quarta posizione del ranking, e sarà terzo se dovesse vincere la finale. Cose che succedono nel tennis, almeno stavolta, dall’altra parte, non troverà Anderson.
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