Non ci sono le botte al servizio di Sam Querrey, non ci sono i capricci di un gomito guasto, ma molto più probabilmente non ci sono più i troppi fantasmi che stavano addensandosi sulla carriera di Novak Djokovic. Il serbo approda ancora alla seconda settimana di Wimbledon, concedendo appena un set durante il percorso, anche se lo scorso anno non ne aveva persi proprio. Ha fatto un passo indietro? O magari è esattamente nello stesso posto di un anno fa? La realtà ci indica velatamente che il dodici volte campione slam si è mosso e non certo all’indietro.
Non è stato semplice nell’ultimo periodo essere Novak Djokovic. Il robot considerato per anni inscalfibile ed indistruttibile era andato in corto circuito nella seconda metà del 2016, collezionando da quel momento tonfi su tonfi. Era cominciato per lui quel periodo che Federer e Nadal avevano già conosciuto, ovvero quello delle “messe”.
“Non tornerà più quello di prima, è finito, non ha più motivazioni”. Se sulla prima di queste pietre tombali non si può far altro che annuire distrattamente, ben diversa è la questione per le altre due. Tra un muro di gomma che rimanda tutto dall’altro lato ed un giocatore finito ci sono una marea di sfumature possibili, la maggior parte delle quali di ottimo livello. La partita di terzo turno contro Kyle Edmund ha rinfrescato queste ipotesi teoriche con il migliore dei balsami, la pratica.
Ogni grande giocatore ha nel proprio gioco una spia che ci (e lo) informa sul livello generale di rendimento. Se per Federer è sintomatico il servizio, e per Nadal è il dritto ad essere cruciale, per Nole sono gli spostamenti i veri indicatori di forma. Questo terzo turno di Wimbledon ci offre un Djokovic più lucido negli scambi lunghi, nuovamente aggressivo con il dritto, ma soprattutto molto meno falloso. Nole arriva meglio sulla palla, anche con le sue classiche derapate, impatta bene e non sbaglia. Nulla di più semplice.
Edmund non era di certo il grande favorito dalle parti di Church Road, ma corrisponde perfettamente alla descrizione di giocatore ostico. Costante, centrato, solido da fondo e con un dritto davvero pesante da tirar su. La classifica gliene rende conto ed infatti gli assegna il diciassettesimo gradino del ranking, mica male per il vassallo del più titolato (e più forte) Andy Murray. Il britannico non è uno che si batte da solo, e il suo braccio non ha tremato sulle svariate palle break concesse a Nole, avendole annullate con lo schema servizio e dritto, che per essere vincente contro il serbo, deve andare parecchio veloce.
Non sono solo di carattere fisico gli incoraggianti segnali che arrivano da Djokovic, in quanto anche la testa cerca di somigliare di più a come era prima. “Scarico” e “Nervoso” i due aggettivi maggiormente accostati al serbo nell’ultimo periodo, stavolta è stato inutile usarli, visti che Nole non appariva così concentrato da diverso tempo. Calmo è rimasto anche quando Edmund ha annullato una delicatissima palla break al quarto set, colpendo la pallina dopo il secondo rimbalzo. Tirando tra l’altro fuori, e aggrappandosi alla rete prima della conclusione del punto. Il britannico ha teoricamente perso il punto in tre modi diversi, ma il giudice di sedia, non rendendosi incredibilmente conto di nulla, l’ha pesata diversamente. Djokovic non poteva crederci e mentre discuteva animatamente con lo sciagurato arbitro, sente partire un’ingiusta pioggia di fischi di un pubblico “britannicamente” schierato. I presupposti per un turbolento quinto set ci sono tutti, ma il serbo si isola da tutto e, con la concentrazione e determinazione di non troppo tempo fa, non concede ad Edmund tale possibilità.
Gli ottavi di finale lo mettono di fronte ad un giocatore dal gioco ancora più violento, Karen Khachanov. Il russo è in grado di raggiungere notevoli velocità con il servizio e il dritto, ma la sua tendenza a andare fuori giri in varie fasi del match potrebbe rendergli la partita con Nole oltre le sue possibilità. Il serbo potrà contare sulla propria capacità in risposta per disinnescare la battuta di Khachanov, mirando poi a sfinirlo con una lunga serie di scambi da fondo. Non dovrebbe incespicare in particolari insidie.
Si è quindi concluso il calvario di Novak Djokovic?
Anche a Parigi, i segnali incoraggianti c’erano, poi arrivò Marco Cecchinato, Nole andò in black-out e il resto è storia. Starà alla ritrovata forza del serbo fare in modo che quanto successo sul Suzanne Lenglen non accada ancora, complice anche un tabellone che gli permette di guardare alla semifinale senza sognare troppo a occhi aperti. Lo spiraglio c’è e non esiste motivo per cui, senza fare passi falsi, non possa trasformarsi in un’autostrada.
È probabilmente forzato dire che il peggio è passato per Nole, perché effettivamente sta per cominciare la seconda settimana, la più dura, difficile, in salita. Ad affrontarla non è però il giocatore insicuro, capace di perdere nell’ordine da Chung, Daniel, Paire, Klizan, e proprio Edmund. È un giocatore più convinto, sereno, che se forse ha perso la brillantezza di un tempo, sembra almeno averne ritrovato la concretezza e il cinismo. La vittoria con Edmund gli ha fatto riscoprire la virtù della calma, la partita con Khachanov non sembra particolarmente insidiosa per lui, e non sarà uno tra Gulbis e Nishikori a mettergli i bastoni tra le ruote. Ci vorrà ben altro per vedere in atto la “Prova del Nole”, che se mai avrà luogo, avverrà probabilmente in semifinale, sul campo Centrale, con dall’altra parte della rete un argentino, o ancora meglio uno spagnolo. E chissà, se ne uscisse vincitore, potrebbe addirittura tentare l’assalto alla diligenza svizzera.
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