Ha attraversato i suoi tormenti, sussultando come un gozzo fra i marosi. Li ha osservati da vicino e non si è tirato indietro. Li ha affrontati con coraggio e ha rischiato sin troppe volte di perdere la presa che lo teneva a galla, e di affondare. È stato costretto a porsi domande che lo ferivano nel profondo, perché lui è fatto di orgoglio smisurato, e non si è mai sentito secondo a nessuno. Né a Nadal. Né a Federer… Si è chiesto se il suo tennis di vertice si fosse ormai irrimediabilmente sbriciolato, e non ha trovato le risposte rassicuranti che cercava. «Ho vissuto di dubbi, e mi sono chiesto mille volte se sarei tornato a vincere. Ma ho imparato ad avere pazienza». Il nuovo Djokovic vince per il figlio, dice. Il piccolo Stefan voleva vedere il padre alzare una coppa, e ora, gli sta stretto al collo e non lo vuole lasciare.
Ha cambiato, ha tentato di ricostruire l’assetto del suo gioco, ripartendo da ciò che gli dava maggiore sicurezza. Ha allontanato prima Becker, poi Stepanek. Ha richiamato Vajda, l’amico, il primo coach, la sua famiglia. Un modo per tornare alle origini… Ma il malessere non aveva il suo centro nella racchetta, piuttosto là in alto, fra i pensieri, le certezze, le abitudini familiari. Novak Djokovic si è spaventato quando ha capito che doveva ricostruirsi del tutto, pezzo a pezzo, oltre il suo stesso tennis. Ma ne ha preso atto. E il ritorno alla vittoria in uno Slam, celebra la sua vittoria su se stesso. Il trofeo vinto, il tredicesimo Major della serie, il quarto ai Championships sono i simboli di un successo più grande. Ed è giusto complimentarsi per quanto ha saputo ottenere, ben oltre una finale che, di fatto, non c’è stata.
Un mese fa al Roland Garros Djokovic franava contro Marco Cecchinato. Su una cappellata di quelle rovinose, con la palla sbatacchiata in rete dalla più facile delle posizioni, si era rivolto al pubblico pregando di non fischiarlo, ma di capirlo. Ben pochi colsero il messaggio, e ancora meno lo incoraggiarono.
L’italiano lo soffocava con il palleggio, distribuiva i colpi meglio di lui, e di quando in quando mollava ceffoni tennistici tali da riportare il Djoker indietro di mesi, alle considerazioni più negative e dolorose. Al termine del match, Nole disse che forse non avrebbe giocato Wimbledon. «Sono frasi che si dicono nei momenti peggiori. Vedevo tutto nero, non sapevo più che fare». Ha scelto di andare al Queen’s, un torneo con poco stress. Gli è servito. È giunto in finale e l’ha persa, ma ha ritrovato quel pizzico di entusiasmo che gli serviva. Wimbledon, con un sorteggio che neanche le prime due teste di serie potevano augurarsi migliore, ha fatto il resto. Nole ha dovuto affrontare un solo, vero avversario, Rafa Nadal, e lo ha battuto in due spezzoni di partita che lo spagnolo ha complessivamente giocato meglio di lui, senza però riuscire a tramutare in punti le opportunità che via via prendevano forma. La finale con Anderson è corsa via come acqua fresca. Il sudafricano aveva una spalla malconcia per i troppi game giocati contro Federer e Isner, e anche se nel terzo ha avuto cinque palle set per andare al quarto, l’indirizzo del match non è mai stato posto in seria discussione.
Nole batte Nole, dunque. E forse è esatto ipotizzare che un nuovo Nole abbia cancellato del tutto il suo vecchio “io”. Ma il vecchio Nole, almeno per quattro stagioni, dal 2012 a metà 2016 era stato fortissimo, inavvicinabile, e più vicino al Grand Slam di quanto non lo siano mai stati Federer e Nadal nelle loro migliori stagioni. Il problema è se questo Nole sarà altrettanto forte. Se riuscirà a tappare la bocca alla concorrenza come l’altro Nole era riuscito a fare. L’impressione è che nel cambiamento dei colpi e degli schemi di gioco, qualcosa abbia perso.
Il Nole di oggi è uno splendido “fondocampista”, aggressivo per l’energia che sa veicolare nei colpi, ma non più per le traiettorie che sceglie. Il colpo che gli permise di battere Rafa con una continuità che sembrava impossibile, aggirando la palla a velocità impressionante sul rovescio, per tagliare il campo in diagonale con il dritto, è praticamente sparito.
Nole tiene benissimo lo scambio, ma si limita a restituire dritti e rovesci, alzando quanto più alto possibile il muro delle sue difese. Piuttosto, c’è da capire se la condizione psicologica, titillata da uno Slam riconquistato (mancava da Parigi 2016, un successo così) e dalla nona posizione riguadagnata in classifica (era precipitato oltre il ventesimo posto) aggiungeranno benzina al suo motore. È possibile. Forse probabile. Ma si vedrà nel proseguo. Intanto, bentornato.
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