Premessa numero uno. L’articolo che segue verrà preso da molti come un attacco a Nadal.
Oppure genererà le solite lamentele sull’ennesimo “ringraziamento” ad Etienne de Villers per l’ormai (prei)storica (dato che ormai son passati quasi 15 anni di questa nuova era geologico-tennistica) decisione di omologare le superfici…
Premessa numero due. Nadal non ha assolutamente colpe ma solo meriti. Merito di essere indubbiamente il miglior terraiolo della storia dalla pallacorda a oggi. Merito di avere messo in un angolo tutti gli avversari che gli si sono posti davanti, indipendentemente da contesti, cambiamenti, palline, cavallette, inondazioni e altri fattori.
Detto questo però sorgono spontanee delle domande di fronte a un’altra stagione di terra battuta passata nel più assoluto oblio, segnata ancora prima del primo quindici sul mattone tritato da un esito non scontato, ma di più. Ancora più dell’anno scorso e ancor più di quello prima. Già dalla Coppa Davis si intravedeva il dominio maiorchino che ci attendeva. E ben pochi, quasi nessuno, si sarebbe aspettato un esito diverso. Con la conseguenza di assistere a tornei senza un minimo di pathos e l’aleggiante sensazione che si giocasse solo per il secondo posto. Perché l’assassino ormai sul rosso è sempre il maggiordomo.
Da un lato resta inattaccabile la superiorità dimostrata da Nadal su questa superficie e come detto è indubbiamente un merito quello di far credere a tutti di aver vinto ancora prima di scendere in campo. Il vero dubbio, o meglio, la vera colpa, è semplicemente dei suoi avversari, i quali semplicemente (con tutto il dovuto rispetto) non solo non sono all’altezza di Nadal (oh, come se poi fosse facile), ma neppure a quella dei concorrenti che nel passato contendevano se non le finali già gli ottavi di finale ai più forti rappresentanti della terra rossa o semplicemente dell’alta classifica. In parole povere: se il massimo pericolo per un Nadal seppure trentaduenne e non certo al top della forma come 5-10 anni fa deve essere Thiem siamo messi proprio maluccio. Senza offendere nessuno stiamo parlando di uno che non ha ancora nemmeno vinto un 1000 e malgrado l’assenza di un colpo risolutore fa classifica appunto solamente sul rosso. Il maggior pericolo in tutto il Roland Garros per Rafa poi è arrivato da Schwartzman (m’hai detto Bruguera…), in una giornata in cui oltretutto a Nadal non riusciva nemmeno di ordinare un Crodino al bar. Come dire insomma che il parco contendenti piange pietà.
L’evidenziare poi che lo spettacolo ne risenta è un eufemismo di dimensioni cosmiche, dato che in tale realtà a Rafa basta buttare la palla di là e sedersi su una sedia sdraio mulinando il dritto con El País in mano aspettando l’errore altrui per rendere il 6-4 6-3 6-2 di turno una mera questione di tempo. Non ci si può nascondere dietro la nostra italica commozione per l’impresa di Cecchinato (grazie mille, a proposito!) per tentare di far passare uno slam che di fatto pareva un 250 per un’impresa colossale. Certo, l’impresa restano indubbiamente gli 11 titoli a Parigi (roba da fantascienza), ma non rischiamo certo di venire fucilati se mettiamo nero su bianco che oramai la stagione sul rosso vede un unico ultimo vero esperto di terra calcare il campo sulle note dei Queen in “Highlander”, mentre quelli che lo affrontano ci giocano più perché quella parte dell’anno fa unicamente da collegamento tra il cemento e l’erba (e anche riguardo a questa superficie si potrebbe parlare per tre ore).
Oggettivamente basterebbe guardare ai tabelloni del Roland Garros prima del 2000 per rendersi conto di come l’omologazione delle altre superfici (e l’arrivo della “terba”) abbia di fatto non solo eliminato gli specialisti (compresi gli erbivori, tanto per mettere in chiaro che chi scrive odia altrettanto la sparizione di questa specie animale…) ma sancito l’estinzione di avversari veri ed esperti per Nadal sulla terra battuta, della quale lui rimane l’unico superstite.
Alcuni esempi: quarti Roland Garros 2000: Safin come unica eccezione tra mostri del rosso come Ferrero, Costa, Kuerten, vincitori come Kafelnikov e esperti quali Norman; quarti 1998 con Mantilla, Moyá, Corretja, Ríos, Muster; quarti 1997 con Kuerten, Dewulf, Bruguera, Kafelnikov, Norman; quarti 1995 con Bruguera, Muster, Costa, Kafelnikov, Agassi, Chang…
Intendiamoci: nessuno vuole dire che Nadal contro questi avrebbe perso. Anzi, con tutta probabilità avrebbe vinto lo stesso. Ma con tutto il rispetto per i suoi odierni avversari il suo cammino verso la finale sarebbe stato un bel po’ più complicato. Perché affrontare Marterer, Schwartzman, Del Potro e Thiem non è proprio come trovare in fila Medvedev, Albert Costa, Kafelnikov e Chang… Insomma, Rafa avrebbe magari lasciato un po’ più di energie lungo la strada e a trentadue anni le energie alla lunga in due settimane possono mancare.
Tutto questo per dire cosa?
Che oggi giorno i terraioli, tolto Rafa, non esistono più. Nemmeno in Spagna, dove i Carreno, i Bautista, lo stesso eterno Ferrer, fanno e hanno fatto bel più strada e successi sul cemento. Bella scoperta. Bravo. Sette più. L’eterna solfa dell’omologazione ha portato alla nascita di due intere generazioni di giocatori fatti tutti con lo stampino, che giocano ovunque lo stesso tennis e che sul rosso non hanno la minima idea di come muoversi, specie se paragonati a un “vecchia scuola” come Nadal. Il fatto che i Djokovic o i Murray (quest’ultimo però sbattendo sempre musate clamorose) siano riusciti a fare match pari con Rafa è puramente dovuto a un dispendio di gioco e un’aggressività dei quali i due stanno accusando le conseguenze ma non ha assolutamente a che vedere con l’essere specialisti del mattone tritato. Nemmeno a guardare la cosa con un lanternino.
L’aver avvicinato il cemento (rallentandolo) all’erba (rallentata anch’essa e con rimbalzi più alti) ha permesso a chiunque di non doversi adattare più tra una superficie all’altra e ha facilitato a un mostro di bravura come Nadal il poter giocare il suo tennis altrove e mantenere la propria specializzazione sul rosso. Con l’enorme differenza però che mentre sul cemento la competizione si è automaticamente elevata (come quantità più che in qualità) visto che chiunque viene “coltivato” per quel tipo di superficie oggi giorno e mentre sull’erba le incognite restano moltissime, sul rosso il suo gioco gli permette, in virtù delle lacune dei suoi avversari, di mantenere una superiorità allucinante. Uno scettico potrebbe dire che Federer abbia avuto lo stesso vantaggio sul verde: può anche essere vero, ma gli elefanti di buona memoria ricorderanno come Federer nascesse sull’erba quale giocatore da serve&volley. E molti altri non negheranno che sull’erba qualunque buon battitore in una buona giornata può fare l’exploit, mentre per far fuori un Nadal sul rosso, nel tennis di oggi tutti i colpi dovrebbero funzionare. E non dovrebbe piovere…
In buona sostanza nessuno vuole scalfire la superiorità di Nadal, ma se solo ci fossero un po’ più di giocatori cresciuti come lui e meno sul cemento forse assisteremmo a dei Roland Garros molto più spettacolari. Tutto qui.
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