Il campo ha espresso il suo giudizio. Lo ha fatto sulle spalle di quattro candidati che meritavano tutti l’accesso in finale, per quello che hanno mostrato nella settimana e nell’intero corso della stagione su erba finora svoltasi. Perché se i proclami per il solidissimo Cilic non sono mai abbastanza è anche vero che Kyrgios non è certo arrivato in semifinale passeggiando, anzi, ha dovuto eliminare Andy Murray (seppur rientrante), un grande Edmund e il campione in carica (e specialista della superficie) Feliciano Lopez. Non era da meno la parte bassa del tabellone, con Chardy che sta vivendo la sua seconda giovinezza, dopo la vittoria a Surbiton e la finale a s-Hertogenbosch e Nole Djokovic che, dopo i dilemmi post-Roland Garros, ha mostrato una forma molto più che discreta. Tuttavia il compasso doveva necessariamente restringersi ulteriormente e il titolo se lo contenderanno il croato e il serbo.
Incaricati di aprire le danze erano Marin Cilic e Nick Kyrgios, in quella che è stata, come ci si aspettava, una partita serrata e povera di occasioni, ma più in generale potremmo dire di scambi mediamente lunghi. I due hanno fatto scorrere i turni di battuta lisci fino al tiebreak senza concedere palle break, poggiando il fulcro del loro sistema di gioco sul servizio e sulla chiusura del punto in pochi colpi. In tutto questo c’è lo spazio per l’australiano di mostrare un po’ di spettacolo, con quel tweener che ormai sta diventando marchio di fabbrica, ma è proprio lui ad addormentarsi nel tie e, dopo aver fallito un dritto in avanzamento che ha concesso il minibreak all’avversario, si è preso una delle sue solite pause mentali che gli è costata il parziale. Assistiamo ad una situazione inedita nel quinto game del secondo set, perché arrivano le prime due palle break in favore di Cilic, ma ci pensa Kyrgios, alla sua maniera, ad annullarle: rovescio lungolinea in nonchalance e solito, immancabile ace. Passata la burrasca si torna alla normalità. E cosa c’è di più normale per Nick del tiebreak (il settimo nel torneo) e della noncuranza? Forza una seconda che porta ad un sanguinoso doppio fallo e il croato, dal canto suo, non si fa pregare: acquisito il vantaggio, è una macchina in battuta e chiude la pratica. Bissa quindi il risultato dello scorso anno, covando, in cuor suo, la speranza di uscirne vincente, come già successo nel 2012.
In tutto il Queen’s, Jeremy Chardy non si era mai fatto rifilare un break, trend confermato anche nel primo set della sfida contro Djokovic: il francese mette in pratica il suo disegno tattico, va in affanno nel dodicesimo gioco, quando è costretto ai vantaggi, ma non indietreggia mai, spingendo con i fondamentali a cui, nel corso degli anni, ci ha meglio abituati: il diritto è letale quando entra con i piedi dentro al campo e il servizio non è mai prevedibile, sempre forte e in grado di destabilizzare Nole, il quale non deve certo fare gli straordinari per tenere il passo, vista la poca pericolosità di Chardy in risposta. Al tiebreak è quest’ultimo a sbagliare sotto rete, in quello che è di fatto l’unico suo errore (ma si sa che sul verde è difficile recuperare, una volta che si va sotto se dall’altro lato c’è un uomo abituato a queste circostanze) servendo un cioccolatino nelle mani del serbo, che non esita a scartare, andando a condurre. Comincia forse ad affiorare la stanchezza nel francese, che per tre game consecutivi concede palla break, a metà secondo set e se è bravo a salvarsi nei primi due, nel terzo, sul punteggio di 4-4, viene punito dal cinismo dell’ex numero uno del mondo, che grazie ad una potente e profonda risposta, va a servire per il match e non sbaglia, giocando con calma e attenzione e tornando nell’atto finale del torneo londinese dieci anni dopo la sconfitta per opera di Rafa Nadal. Continua invece la maledizione di Chardy contro il serbo, sconfitto in tutti e undici i precedenti, non riuscendo mai a portargli via un set.
[1] M. Cilic b. N. Kyrgios 7-6(3) 7-6(4)
Djokovic b. J. Chardy 7-6(5) 6-4
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