Chi nutriva dei dubbi si faccia avanti. Qualcuno aveva solo osato pensare che Nike potesse non vincere anche questo Australian Open? Ci poteva stare però… Sascha Zverev che entra definitivamente nell’Olimpo del tennis, l’incredibile ritorno di Novak Djokovic, la sorpresa Chung o la “col senno di poi assurda” vittoria di Marin Cilic in finale contro quello là. E invece no, tutto va come deve andare – cantavano gli 883 – e quello là, per la gioia del mondo intero, per la ventesima volta ha baciato il trofeo più brillante. E il pensiero di nuovo a quello spot pensato da Nike per Michael Jordan: “certe cose sono impossibili fin quando qualcuno le rende possibili”. Una storia che si ripete.
E quel furbone di uno swoosh aveva calcolato ogni cosa. Niente linea per le Finals: Roger, Rafa, Jack e Grigor vestiti con gli stessi “umili” abiti degli ultimi due mesi di stagione – quelli di Parigi Bercy per capirci. E quei colori pastello avevano stufato un po’: un viola che non era viola, un verde acqua che pareva sbiadire dopo ogni scambio. C’era qualcosa di strano. Ma poi – questa è la nostra “romanzata” chiave di lettura – il botto finale di inizio anno! Come una sposa, Nike si è fatta aspettare: qualche giorno prima le indiscrezioni sui nuovi outfit, poi la realtà!
“Rosa acceso! In Australia a farla da padrona sarà il rosa acceso!”, immaginiamo una vivace riunione tra manager e disegnatori del marchio, “e rosa sia!”. Dimitrov è stato il principale esponente di questa nuova corrente, poi Kyrgios colorato per metà come anche le ragazze. Rafa era il più sobrio, anche se forse da una decina d’anni non lo vedevamo scorrazzare in canotta. E infine il Re, l’Imperatore come lo chiama qualcuno, colui che ha cambiato non solo il tennis ma, come dare torto al Direttore Azzolini, la storia.
Federer era elegante, come sempre, e per tutta la durata del torneo non si è riusciti a staccargli gli occhi di dosso: ogni colpo ha spinto la storia più in là – ormai è così, ogni colpo di Federer è una piccola spinta alla storia dello sport, e tutti noi ne siamo testimoni. Non è incredibile? Mio padre mi raccontava di Borg e McEnroe, di Panatta e Connors. Io racconterò di Federer e di quelle incredibili “x vittorie” che cambiarono definitivamente, brutalmente e poeticamente il tennis.
In quell’Australian Open, quello della ventesima, ci si perdeva in quelle due bande oblique tanto diverse dal contorno, tanto perfette in campo e tanto pensate per la vittoria finale. Forse gli indossatori che provarono quell’outfit lo fecero braccia al cielo. Già con le braccia al cielo. Perché era scritto, era tutto scritto. Forse Nike lo sapeva.
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