Sono passati quasi tre anni da quando Umberto Eco pronunciò queste parole: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli»
Non era stato certo leggero, l’intellettuale piemontese, ma da uomo di pensiero sapeva perfettamente che il tema trattato era, è e sarà di peso sempre maggiore nello sviluppo del dialogo collettivo del nostro mondo e della nostra società. Eco, giustamente, sottolineava il diverso valore che semplici e mere opinioni vengono ad assumere quando, da discorso da bar appunto, entrano nel sistema della rete con la possibilità di essere rimbalzate per milioni e ancora milioni di volte.
Ma i social network hanno anche avuto un altro effetto, quello di avvicinare i “tifosi” ai loro beniamini, consentendo loro di conoscerne non più la capacità di colpire il rovescio o di modificare l’impostazione tattica di un match ma la loro opinione sui fatti sensibili del mondo. La scoperta non poteva che essere deludente. Fuoriclasse che ci deliziano con magici tocchi o che ci entusiasmano con la loro generosità risultano essere dei banali ragazzotti incapaci di mettere insieme un pensiero di una qualche complessità e purtroppo, come si sa, dal sonno della ragione – e dalla mancanza di buone letture -nascono i mostri.
Così un tennista che dispensava perle razziste in giro per il web, allo stesso modo degli ubriaconi da bar assurto a imprevista notorietà grazie a 4 partite vinte nel primo slam dell’anno è entrato nel centro del tifone. Semplicemente, mentre prima lo conoscevano in 10 e ci si disinteressava delle sue spericolate attenzioni per i suprematisti bianchi e altra spazzatura simile, i riflettori accesi sul Tennys Sandgren a Melbourne hanno mostrato ad un pubblico più ampio lo squallore di un ragazzone del Tennessee capace solo di blaterare scuse scomposte e richiami a Gesù Cristo nostro signore.
Ovviamente il sistema di valori costruito sulla laica democrazia occidentale, ha tra i suoi principi cardine il diritto di libertà di opinione. Ma come sottolineato da Noam Chomsky, un’opinione ha diritto di essere tale, ossia una presa di posizione degna di essere considerata, se, e solo se, risulta fondata da prove o ragionamenti di carattere scientifico atte a certificarne la validità, premettendo che anche le scienze umaniste hanno questo potere di certificazione. In caso contrario tale qualità decade per far posto alla “congettura” se il termine sembra tutto sommato soft, la definizione lascia pochi dubbi: ipotesi volatile priva di fondamento e pertanto indegna di essere ascoltata.
I principi di razzismo e omofobia pubblicizzati da Tennys Sandgren sul suo account twitter sono stati messi nel cestino delle congetture già da tempo, e non si sentiva proprio la necessità di allargare un dibattito già penoso in altri settori della vita sociale. E un personaggio pubblico di primo o secondo o terzo piano che egli sia, è comunque un personaggio pubblico e se, come sottolinea Eco, quanto si pubblica nella rete assume un peso collettivo che precedentemente, nei propri discorsi da bar, risultava assente, allora non solo è giusto condannare idee che già la Storia ha ampiamente archiviato, ma è indifendibile la posizione non solo di chi ancora le propugna ma di chi ne difende la liceità. Dire che Lionel Messi ha fatto un bel gol quando magari ha segnato a porta vuota sulla papera del portiere non fa male a nessuno. Parlare di razzismo, si, ha un peso sul pensiero collettivo.
Sostenere, inoltre, che Sandgren, forse illuminato da qualcuno, ha sbagliato a cancellare i suoi Tweet, appiattendosi alla comunicazione standard del tennis e rinunciando al suo pensiero, è doppiamente sbagliato. Perché? Perché il Tennis è riconosciuto come sport e pertanto sviluppa e divulga valori universalmente riconosciuti di uguaglianza, lealtà, onestà e rispetto dell’avversario. Valori che materie come il diritto naturale e politico (nelle costituzioni degli Stati ad esempio), hanno positivamente affermato e che quindi sono scientificamente approvati. Ne deriva, dovrebbero impararlo anche i superficialoni seguaci di un inesistente Voltaire – che mai si sognò di pronunciare la frase “non sono d’accordo con le tue opinioni ma darò la vita perché tu possa esprimerle” – che se sei un tennista, uno sportivo, un personaggio pubblico non ti è consentito divulgare valori differenti, così palesemente in contrasto con il codice etico della tua disciplina. Contesto che rende doppia la responsabilità pubblica di determinate affermazioni.
È certo eccessivo pretendere che gli sportivi, soprattutto quelli iperprofessionisti di oggi, abbiano dimestichezza con questioni più complesse ma gli scribacchini che hanno starnazzato sulla libertà d’opinione violata avrebbero dovuto avere la decenza di leggiucchiare qualche testo prima di sostenere che ci sia stata una violazione del diritto d’opinione, o come Sandgren ha affermato, che si sia limitata la possibilità di avere più punti di vista. Corretto poterli conoscere, per diffonderli, però, è necessario avere strumenti critici che raramente una racchetta e una pallina ti danno. La democrazia non è cinque minuti gli ebrei e cinque minuti i fascisti; è “fuori i fascisti e poi discutiamo”. E il web non è il bar. E che sia riuscito confusamente a rendersene conto Sandgren, che oggi in un tweet si è scusato con chi si è ritenuto offeso da come aveva descritto la sua esperienza in un club gay – pur non mancando la gaffe della “bad experience” – mentre alcuni giornalisti italiani continuano a definirlo un eccentrico, non rende certo tutto quanto meno misero.
(ha collaborato Roberto Salerno)
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