Talvolta verrebbe da chiedersi se i giocatori (o anche le giocatrici) si riascoltino quando parlano. Che domande… mica potranno essere così paranoici da andare a pensare che quello che viene detto potrebbe voler dire altro o creare un discorso completamente senza senso. Così la conferenza stampa di presentazione di Nick Kyrgios, del primo dell’anno, ha assunto in alcuni momenti il sapore della sonnolenza tanto vicine erano le risposte a degli ipotetici comunicati stampa, in altri quella di un “cosa?” a caratteri cubitali sul genere delle parole “gulp” e “gasp” dei fumetti.
La prima vera perla è arrivata quando gli è stato chiesto se sa qualcosa delle condizioni dei big che stanno faticando a riprendere contatto nel circuito. La risposta, in inglese, è questa: “I don’t know. I haven’t been really reading into it. You know, I’m not sure about any of the top guys, really. I’m sure they’ll be okay, though. I think they’ll probably all be there, I think. I have no idea”. Snocciolando frase per frase, la situazione è quasi comica:
“Non lo so” bene.
“Non ho letto più di tanto” ok, ci può stare, lui stesso doveva recuperare da infortuni.
“Non sono sicuro (o non ho notizie certe) a proposito di alcun big” daje, l’hai già detto.
“Davvero” chi offre di più?
“Sono sicuro che saranno ok” colpo di scena! Ma non avevi detto che non ne sapevi nulla?
“Penso che probabilmente saranno tutti là (a Melbourne)” uh, si sta ingarbugliando, aiutatelo.
“Non ho idea” game over, tilt.
Alla fine, quando il responsabile media dell’ATP ha chiesto se c’erano altre domande, un giornalista britannico ha provato a servirgli un assist a porta vuota per fargli fare bella figura (mica siamo degli inquisitori…): “Hai già visto “La battaglia dei sessi”?”. Perfetto, è il novantesimo, punteggio in parità, una palla solo da mettere in porta e guadagnarsi la pagnotta anche per oggi. Risposta: “No, che cos’è questo?”. La reazione di tutta la sala stampa, responsabile media compreso, può benissimo paragonarsi a questo momento del film Una pallottola spuntata 33 e 1/3.
Il film di tennis che assieme a Borg-McEnroe ha sbancato al botteghino negli ultimi mesi, presentato in pompa magna allo scorso US Open con una conferenza stampa di Billie Jean King, Emma Stone e Steve Carrell, che narra la storia della partita tra Billie Jean King e Simon Riggs. “No, non penso di averlo visto”. Sguardo come a dire: “ok, boh, cos’è quella faccia?”. Nulla (forse), se non fosse che il “no, che cos’è questo?” è forse la risposta più lontana da ogni ipotesi. O forse perché non è possibile che con tutto il parlare che se n’è fatto non possa almeno sapere che si tratti di un film uscito recentemente.
Eppure Kyrgios non è da solo. Se non fosse per lo scivolone finale, probabilmente la serie di 4 frasi che si smentiscono a vicenda farebbe a gara con Garbine Muguruza. La spagnola, il 31 dicembre, raccontava la sua disavventura in aereo. Si era imbarcata a Los Angeles pochi giorni prima, direzione Brisbane, quando: “Per prima cosa, il volo ha subito un po’ di ritardo. Sono riuscita a partire e dopo circa due ore, mentre stavamo sorvolando, tipo, il Pacifico… O qualunque mare fosse”. Cosa? Aiuto. I miei da piccolo mi avevano deriso per una settimana (nel periodo del mio compleanno) perché avevo detto che la capitale della Germania era Monaco di Baviera, ma qui siamo forse a livelli più alti. E lo stretto di Bering? Probabilmente è quel varco che consente alle navi di passare dai mari Europei al Mar Rosso. Fermiamoci qui, magari era talmente nervosa che neppure riusciva a ragionare. Per la cronaca, la sua disavventura è andata avanti così: “Il capitano ha annunciato che c’era un’emergenza e che dovevamo rientrare a Los Angeles perché stavamo perdendo carburante e i radar di bordo non funzionavano. Ho pensato: “Ci sono volute due ore per accorgersi del problema?””. Tutto sommato, è meglio che se ne siano accorti prima di dover affrontare situazioni ben più pericolose.
Alizé Cornet finisce sul terzo gradino del podio. Prima il simpatico siparietto con l’intervistatore dal marcato accento australiano: “Oddio hai un così marcato accento australiano, è uno scherzo!”.
Poi in conferenza stampa si è lasciata andare, come già era successo durante il Roland Garros, a una frase un po’ piccata la Lacoste, marca d’abbigliamento con cui era sotto contratto fino alla fine del 2017 dopo essere passata a Lotto. Già allora scherzava sull’entrata nel team di Novak Djokovic (“spero che lascino qualche soldo anche a noi”), e dopo il suo esordio con la nuova divisa è tornata sull’argomento con una battuta verso la casa d’abbigliamento: “Beh, un grande acquisto Djokovic: non ha mai giocato causa infortunio. Bravi ragazzi”. La furia dei fan di Djokovic si è accanita su di lei: quando il mondo imparerà a prendere le cose un po’ meno sul serio? Mai, è chiaro. Soprattutto ora che con i social network ogni freno imposto dalla decenza è venuto a meno e gli insulti viaggiano alla velocità della luce.
Per fortuna c’è anche di che sorridere: l’intervista di Aliaksandra Sasnovich ha portato alla luce una protagonista tra le retrovie che non ha mai avuto una propensione al mettersi in mostra. L’ha detto pure lei: è particolarmente chiusa, non usa molti account social, non rilascia spesso dichiarazioni ai media al di fuori di quelli russi o bielorussi. Eppure, nei 10 minuti di chiacchierata è venuto fuori un profilo molto diverso. Non parlerà benissimo la lingua inglese, ci sono qua e là momenti in cui potrebbe magari utilizzare un semplice termine e invece si arrampicava per esprimere la stessa idea, eppure era molto espressiva. A un certo punto ha persino interrotto quella che era una nuova domanda perché doveva continuare a rispondere a quella precedente, dopo aver già parlato per almeno un minuto buono. Non saremo mai ai livelli di Kristina Mladenovic e Timea Bacsinszky, croce e delizia dei giornalisti quando si tratta di trovare materiale diretto e molto dettagliato su storie, vicende e situazioni varie, ma chi deve poi trascrivere i 20-25 minuti standard di conferenza stampa inizia a sentire il sudore e la fatica già alla seconda risposta. Ad Indian Wells la svizzera per due volte ha portato allo sfinimento la rappresentante media della WTA che non riusciva a porre fine alla conferenza, mentre la francese, lo scorso anno, “ha dato una risposta di sei minuti e mezzo, non potevo crederci” era il commento di Carole Bouchard, giornalista francese. Non male, da questo punto di vista, neppure Monica Niculescu e Roberta Vinci, capaci di arrivare a toccare ogni scibile della conoscenza umana già solo con la domanda: “Come stai?”.
O anche Aleksandra Krunic, che oggi probabilmente ha regalato alcune delle dichiarazioni più belle della stagione. La serba non era molto felice per aver ottenuto il passaggio ai quarti di finale a causa del ritiro di Garbine Muguruza, ma quando comincia a parlare non si sa mai dove va a parare. Prima domanda: al di là del risultato finale, eri contenta di come stavi giocando contro la numero 2 del mondo? Risposta di 201 parole, passando per “quando ero 5-7 2-5 sotto stavo già pensando a quando rientravo nello spogliatoio e se avessi avuto un controllo antidoping o meno, che in caso avrei dovuto fare pipì”, oppure “quando l’ho vista a terra dolorante pensavo fossero vesciche o un problema alla caviglia, visto che aveva appena chiamato il trainer. Mi stavo stressando più del dovuto, già pensavo: “Oddio no, se lei ora gioca su una gamba sola e vince questo game vuol dire che sono proprio negata”, o ancora “tu in questi casi non hai idea di che fare. O continui a fare la stronza (sic) e fai palle corte senza sosta, oppure giocare normalmente […] Forse aveva dolore, ma avrebbe comunque dato tutto per vincere, e lei quelle possibilità le ha”. Finito? Ma neanche… “Nella famiglia non sono tutti come me. Io sono una terribile perfezionista: non mi do crediti se faccio qualcosa fatto bene, ma sono la prima ad autopunirmi se c’è qualcosa che non va. Tipo ripetermi: “Ecco, hai rovinato tutto”. Adesso sì, adesso abbiamo finito.
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