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Esclusiva – Kostyuk: “Gioco e vinco, ma adesso comincio anche a divertirmi”

Primo Slam della carriera da professionista, non ancora sedicenne, e terzo turno guadagnato. Ti aspettavi qualcosa del genere?
“Credo di aver cominciato a pensare a qualcosa simile lo scorso aprile. Erano piccoli pensieri nella mia testa, ma ogni volta che ci pensavo cercavo di bloccare questi pensieri per non arrabbiarmi se poi non sarei riuscita nel mio intento. Come avevo già detto, qui mi sento in grado di fare qualsiasi cosa, non penso neppure sia qualcosa di incredibile”.

Negli ultimi dodici mesi hai vinto uno Slam junior, il primo titolo da professionista, hai vinto il Master junior, ora quello che stai raggiungendo qui. Non sta andando tutto di fretta?
“Tutto ogni volta va veloce nella mia vita, fin dall’inizio con la scuola al tennis. È stato tutto veloce e semplice. Non so. Semplice perché a scuola per me è stato sempre facile: ho passato un anno in più. Ho fatto il primo anno, il secondo, poi all’inizio del terzo la maestra mi ha detto: “Tu non hai più nulla da imparare qui, vai al quarto”. Questo è dunque il mio ultimo anno di scuola, eppure anche adesso non c’è nulla di veramente complicato. Nel tennis invece è diverso: lì non c’è nulla di facile. Quando mia mamma era incinta di mia sorella io dovevo passare dalla seconda alla terza, e quell’estate per rimanere con lei nel frattempo ho fatto tutto il programma di matematica dell’anno dopo in un’estate. Quando sono tornata a scuola sapevo tutto, la professoressa stava scrivendo gli esercizi e io ero sempre con la mano alzata. “La so”, sempre. Lei è impazzita dopo un mese e mi ha detto: “Basta, lascia il tempo anche agli altri di pensare! Vai in quarta!”.

Ti era difficile dare il massimo a scuola e alle lezioni di tennis?
“Guarda, facevo pure acrobazia. Magari non avevo tanto tempo per combinare scuola, tennis e acrobazia, ma avevo l’energia tipica di una bambina. I bambini hanno un pozzo inesauribile di energia. Non era semplice e se devo essere sincera ripensarci ora mi fa dire: “Ma come sono stata in grado di farcela?”. Davvero, adesso tutti cominciano a chiedermi come era la mia vita da piccola e mentre rispondo penso a come fossi in grado di combinare tutto. Ora qualcosa è cambiato, mi sento un po’ diversa, ma prima per me era tutto normale. Ho fatto acrobazia da 5 anni a 11, e tutti i giorni dovevo organizzarmi per fare le 3 cose: scuola, tennis e acrobazia. Non ho quasi mai saltato una lezione, avevo scuola alla mattina fino a mezzogiorno o l’una, poi andavo diretta a giocare a tennis per un’ora e mezza, poi per ultimo andavo a fare acrobazia per 4 ore al giorno”.

Quando hai cominciato a giocare?
“Ho cominciato quando avevo 4 anni. È stata mia mamma a portarmi al circolo Antei, lavorava lì come coach. Devo confessarti che il tennis non mi è mai piaciuto tanto perché non riuscivo a divertirmi particolarmente. C’erano tante persone che mi dicevano: “Marta, dai, deve piacerti questo sport”. Io però volevo sempre vincere, la vivevo male fin dall’inizio. Spesso finivo le partite che piangevo, ma con il tempo ho costruito un carattere che mi ha permesso di vincere questa sensazione e di rimanere lì fino alla fine di una partita. Adesso questo sport un po’ comincia a piacermi, ma probabilmente perché sto capendo come funziona il tennis professionistico dove guadagni soldi, ti confronti con giocatrici di alto livello, ma soprattutto quali emozioni si provano quando vinci. Adoro quella sensazione, quando senti di star bene con te stessa perché stai migliorando, perché quello che fai va in una giusta direzione. Questo sport non è mai stato come una vera passione, il tennis in generale non mi ha mai preso particolarmente. Adesso come ti ho detto è tutto un po’ diverso, certamente mi sta prendendo molto più di prima, ma ancora non ti posso dire che vada matta per questo… però adoro fare sport, dunque che sia correre o giocare a tennis alla fine va bene qualsiasi cosa”.

Quando parli di momenti difficili, è perché qualcuno ti metteva pressione?
“Non era pressione esterna, è che per me non esisteva la parola sconfitta. Mia mamma mi diceva che non dovevo preoccuparmi così tanto, ma io ero una perfezionista e volevo che ogni cosa fosse fatta nel miglior modo possibile, poi in quel periodo avevo scuola, tennis e acrobazia quindi stavo probabilmente impazzendo. Adesso ho capito che niente nella vita è perfetto e devo fare i conti con questo aspetto giorno dopo giorno dopo giorno, ogni volta di più: nessuno è perfetto. Io non vincerò per sempre, anzi da adesso in avanti saranno tantissime le volte in cui perderò, anche Serena Williams che è un fenomeno assoluto ogni tanto deve subire delle sconfitte”.

Come idolo hai qualche giocatore o giocatrice in particolare?
“Guarda, non ho alcun idolo vero e proprio. Roger Federer è uno dei migliori di sempre, però ero troppo piccola quando lui vinceva tutto. Quando ho cominciato a seguire c’era Novak Djokovic che mi ha subito preso. Fino a qualche anno fa avrei voluto sposarlo, giuro! (risata, nda)”.

Ma perché ti piaceva così tanto il suo gioco?
“No no, mi piaceva lui! (risata, nda) questo finché avevo 12 anni circa, poi finalmente mi sono resa conto che era qualcosa di impossibile e dunque via, ho lasciato perdere”.

Questo fatto che non hai dei veri idoli può derivare dal fatto che fai fatica a sviluppare una vera passione per il tennis?
“Esatto, deve essere per quello. Quando ero più piccola conoscevo bambini che già dicevano che il tennis è la loro vita, è tutto. Non sono mai stata così perché se qualcosa accade e tu perdi la passione, la voglia… A quel punto che accade? A quel punto ti distrugge la vita, e non sai più che fare. Penso che molte delle giocatrici che ora si ritirano e poi vogliono rientrare lo fanno perché non hanno altro da fare al di fuori del tennis, e questo è un problema enorme. Io sto cercando di essere presente anche al di fuori di questo mondo. Se qualcosa accade, che fai? Se a 25 anni volessi mai sposarmi, bene, potrebbe anche essere che decida di non giocare più. O qualsiasi cosa accada, vorrei essere in grado di fare altro. Il tennis non è la mia vita: la mia carriera durerà al massimo fino ai 35 anni circa, e al momento non so se sarò in grado di arrivare così lontano. Da lì poi avrei 40-50 anni davanti a me che è pure di più quanto vivrò nel tennis. Per questo non ho mai preso troppo sul serio questo sport. Le persone potranno giudicarmi male, perché magari per queste persone io non do tutto in quello che faccio, ma io do quello che sento di poter dare. Se per me è abbastanza, è abbastanza”.

Tu hai già un’idea?
“No non ho ancora pensato a dove potrei essere occupata dopo il tennis. Al momento il mio obiettivo è di crescere e migliorare come persona giorno dopo giorno nella mia vita, essere più matura, fare esperienza parlando con le persone per affrontare al meglio alcune decisioni importanti che potrei trovarmi a fare col passare del tempo. Per me questa è la cosa più importante al momento. Una persona magari può non sapere grandi cose della vita ma essere comunque molto maturo per riconoscere una situazione e prendere una decisione senza rimpianti”.

Da piccola ti è mai venuto in mente di prendere in considerazione altri sport per il futuro?
“No non ho mai pensato di non essere una giocatrice di tennis, ma una volta di recente mi è capitato di pensare di lasciare. Era agosto del 2015, avevo perso due brutte partite e quando sono tornata a casa ho detto a mia mamma: “Guarda, basta, non voglio più giocare”. Non ho giocato per una settimana e finita mi sono detta che no, dovevo tornare a giocare. Mia mamma non aveva cercato di fermarmi, ma aveva detto: “Va bene, fai pure. Puoi magari dedicare più tempo alla scuola, puoi fare questo, o questo, poi vediamo se ti piace più che fare la tennista”. Mi stava dando una scelta, e alla fine ho deciso di ripartire”.

Non essere così a contatto col tennis ti porta a interessarti maggiormente dei posti che visiti?
“No purtroppo no. È molto difficile perché la nostra routine non ci lascia quasi mai spazio. Ai tornei è spesso hotel, tennis club, hotel, tennis club… Mi piace magari se c’è un po’ di strada da fare prima di arrivare al circolo, o al luogo del torneo, perché quantomeno hai una piccola visuale della città. Quando invece è tutto in un unico posto, lì è un incubo. Può andar bene quando magari sei in posti dove non c’è assolutamente nulla e allora non hai granché da fare, tipo in Cina, dove ho giocato il Master junior. Lì è come stare in un altro pianeta, la Cina per me è proprio un altro mondo. Ma comunque avevo attorno a me persone con cui passare del tempo, con cui chiacchierare, dunque alla fine non andò male. Però sarebbe bello se ci fosse modo di spostarsi, o rischi di annoiarti quasi subito. Come quando vinci, e devi arrivare a fine settimana, e non fai null’altro che giocare. Quando perdi hai un po’ più di tempo, lì se riesci hai modo di vedere qualcosa”.

Ljubicic cosa ti sta dicendo durante questo torneo?
“Dopo ogni match Ivan mi dice sempre: “grande ragazza, bravissima”. Soprattutto da quanto mi comporto nettamente meglio in campo, prima c’erano delle occasioni in cui diventavo matta. Qui comunque ci sono diversi momenti importanti: dopo il primo match mi diceva che cosa cambiare per adattarmi meglio a certe situazioni, ma oggi soltanto: “grande ragazza, bravissima”.

Come riesce Ivan a combinare il suo impegno di allenatore di Roger Federer e seguire la tua crescita?
“Forse per lui la cosa bella è che non è con Roger tutto il tempo, ma è molto impegnato anche con la sua famiglia, cosa che ovviamente desidera. Alle volte se sono dalle sue parti lo vado a trovare, o lui viene da me a parlarmi. Quest anno, ma anche lo scorso, sono qui all’Australian Open e così pure lui, dunque riusciamo a vederci… Chiaro, mi piacerebbe vederlo più spesso, ma la situazione è questa e va benissimo comunque. Anche se mi vede per un breve periodo riesce a trasmettermi tantissimo”.

L’altra volta raccontavi di aver trascorso del tempo all’accademia di Riccardo Piatti, conoscevi già lo storico coach di Ivan?
“No prima di quest inverno no. Sapevo che era il coach della carriera di Ivan, e quando ero a Bordighera ero lì con il mio coach, e con Ivan, così non ho avuto particolari momenti con lui, ma abbiamo fatto video-analisi e sì, devo dire che sembra veramente uno con grandissima conoscenza del proprio mestiere. Sono stata lì 4 giorni, poi ho avuto un problema: dovevo giocare l’ITF 100.000 dollari di Dubai, ma non ho ricevuto il visto, quindi alla fine sono rimasta altre due settimane circa”.

Dove ti alleni in questo periodo?
“Sono a Zagrabia con il mio coach, Luka Kutanjac. Però non abbiamo un posto fisso, dipende dal giorno, dal tempo. Purtroppo non passo molto tempo in Ucraina perché da quando ho cominciato a viaggiare tanto ho dovuto rinunciare al tempo da passare a casa, è veramente difficile a volte, soprattutto quando non puoi vedere tuo papà, tua sorella”.

Diego Barbiani

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