Un nuovo importante traguardo è stato raggiunto, nel fine settimana di Lille, da Eva Asderaki Moore. La giudice di sedia più importante e famosa assieme a Marija Cicak, non soltanto al femminile ma probabilmente dell’intera classe arbitrale, è stata la seconda donna della storia ad essere selezionata nel team di arbitri che hanno diretto la finale di Coppa Davis, la prima dopo Sandra de Jenker nel 2005. A dare ancor più risalto alla sua figura, la scelta del giudice arbitro di metterla a dirigere la quinta e decisiva sfida della serie tra Francia e Belgio, vinta da Lucas Pouille in tre set nei confronti di Steve Darcis. Tre come le partite dirette in totale dalla giudice di sedia greca nell’intera serie.
Il parco-arbitri femminile, come detto, ha la fortuna di avere almeno due persone che godono di enorme stima da ogni angolo: Asderaki Moore e Cicak. Come dimenticare lo US Open 2015? Ebbene, oltre la prima volta di una finale Slam tutta italiana, un’altra prima volta ha riguardato l’apertura di un torneo dello Slam di entrambe le finali di singolare a due arbitri donna e se Cicak arbitrò un match molto tranquillo tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci, Asderaki Moore ebbe un impegno ben più arduo con Novak Djokovic e Roger Federer in un match elettrico, che la pioggia ritardò di 6 ore, con uno stadio stracolmo e pronto ad accendersi quando lo svizzero si aggiudicava punti importanti e con il serbo pronto a scaldarsi quando c’erano situazioni al limite. Eppure, in questo difficile contesto Eva ebbe sangue freddo e concentrazione massima lungo tutti i 4 set, meritando alla fine un simbolico premio di MVP compiendo almeno 5 overrule perfetti. Cicak, quella sera, era seduta in mezzo ai fotografi, vicino alla torretta dell’arbitro, a sostegno della collega nell’amicizia che le lega, e rideva. Disse poi: “Eva fu straordinaria”. Un mese dopo quella finale, uno dei più forti tennisti maschi in attività (l’articolo di straitstimes.com non riporta il nome) andò da lei e le fece i complimenti per come tenne la situazione sotto controllo.
Lo US Open nel 2015 fu il terzo Slam in ordine di tempo ad aprire le proprie porte delle finali verso arbitri donna. Il primo in assoluto fu l’Australian Open, dieci anni fa. Era il 2007 e Sandra de Jenken arbitrò sia la finale maschile a Melbourne che, pochi mesi dopo, quella del Roland Garros. La stessa de Jenken che fu parte del team di arbitri in finale di Coppa Davis due anni prima. Se oggi abbiamo Cicak e Asderaki Moore, dieci anni fa circa avevamo de Jenken e Lynn Welsh, oltre a Alison Lang (15 finali Slam dirette in carriera) che rappresentò un collegamento tra le due generazioni, e già sembrano vedersi i prossimi cambi visto come Marjana Veljovic e Tamara Vrhonec, ma anche Julie Kjendile, stiano lavorando. Vrhonec fu la giudice di sedia del tesissimo match tra Alizé Cornet e Tatjana Maria del Roland Garros 2016, finito con quest ultima che voleva fare causa a chiunque. Noi di Oktennis avevamo successivamente analizzato il terzo set e non c’è stata una sola infrazione del regolamento da parte della francese: ottima direzione da parte del giudice di sedia. Veljovic, invece, ha appena 30 anni e già è tra le punte di diamante della squadra femminile, oltre ad aver già avuto in carico una finale Slam: il doppio misto a Wimbledon tra Jamie Murray e Martina Hingis contro Henri Kontinen e Heather Watson, la prima femmina ad arbitrare una finale non esclusivamente femminile dal 2012, anno in cui proprio Asderaki (allora non sposata) diresse la finale di doppio maschile. Ogni piccolo tassello che Eva aggiunge al suo particolare palmares diventa un traguardo importante per tutto il genere femminile. Non si dovrebbe generalizzare così tanto, ma quando si pensa a quello che Welsh disse anni fa ci si rende conto di come su tutte loro in questi casi ci sia una lente d’ingrandimento speciale: “Quando mi sceglievano per un match maschile, soprattutto nei primi anni, avevo enorme pressione addosso. Se fallisco, tutti diranno che non sono in grado di farcela. Dopo un po’ però ho cominciato a vederlo come enorme stimolo: non ero sola, sentivo che lo stavo facendo per tutte le donne”. La situazione non è cambiata: una donna che arbitra un incontro di tennis maschile è sempre vista con un occhio più critico, basti ricordare i fischi ingenerosi ricevuti da Veljovic dal pubblico di New York per una chiamata poi corretta da Hawkeye nel match tra Federer e Youzhny di quest anno.
Dei 127 match maschili di Flushing Meadows 2015, ben 41 furono arbitrati da donne: è il 32% del totale, cifra ottima se si considera che in quell’edizione dei 19 arbitri con il golden badge (il massimo nella scala di valori di un arbitro) solo 5 erano donne (il 26%). Bruce Litterl, capo degli arbitri a Flushing Meadows, disse in un’intervista a USA Today: “Dobbiamo solo essere fieri di poter presentare un arbitro femminile ad una finale maschile. Eva è straordinaria e si è meritata quel posto dopo 3 anni in cui era tra le preselezionate per quella partita. In termini di abilità, ha diretto tanti match maschili e non ha nulla da invidiare a nessuno, mai una volta in cui è stata in difficoltà. La USTA con questa scelta (di affidare entrambe le finali a due arbitri donna, nda) si è mostrata leader nella diversità, ma nessun aiuto: tutto è basato sulle abilità delle persone e Eva è la migliore al mondo”.
Wimbledon è l’unico Slam che ancora non ha permesso ad una donna di arbitrare un match della seconda settimana del torneo di singolare maschile e gli altri 3 Slam al momento hanno avuto solo una finale maschile (dal 2007 a oggi) diretta da una donna. Allo stesso modo però è vero anche che solo lo Slam londinese non ha avuto il coraggio di uscire dalla questa sua antica e ormai abbastanza insignificante tradizione e che i numeri sono in sensibile ma interessante aumento. La presenza di Eva nella finale di Coppa Davis è un imput in più, un nuovo step importante per una persona che raccoglie riconoscimenti ovunque e meriterebbe probabilmente palcoscenici sempre prestigiosi. “La differenza tra arbitro uomo e donna non esiste: non c’è motivo per cui una donna non possa arbitrare un match maschile” ci ha raccontato una collega statunitense, riprendendo in parte quello che Asderaki Moore disse due anni fa: “Alla fine noi siamo sempre arbitri, uomini o donne. L’importante è svolgere bene il nostro lavoro, che è quello che conta per i giocatori”.
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