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La sconfitta dell’umano Federer, la rivincita della Lost Generation

Goffin ha battuto Federer.
Sì, David Goffin, il “non giovane” Goffin, il “povero” Goffin, come spesso lo si etichetta, colui che ha sempre idolatrato e si è più volte prostrato di fronte al tennis del suo idolo, non nascondendo mai una venerazione quasi fuori luogo, talvolta. Una stagione che per il belga avrebbe potuto essere ancora più gloriosa, se un telo colpevolmente lasciato lì dagli organizzatori del Roland Garros non gli avesse spezzato in due un anno promettente, che è comunque riuscito a recuperare alla grande con la qualificazione alle ATP Finals e le vittorie contro Rafa e Roger, gli assoluti protagonisti di questo 2017, coloro che si sono spartiti i piatti forti, la roba che conta. È in finale David e quasi non ci crede, con un ginocchio malconcio, con la finale di Davis che chiama tra una settimana a Lille e sulle sue spalle tutte le speranze di un colpaccio del Belgio in Francia.

Eppure tutti oggi a chiedersi: “Cos’è accaduto a Federer?” 16-0 contro gli altri semifinalisti, contro Goffin un solo set perso nel lontano 2012 a Parigi, a cui anche a Basilea poche settimane fa aveva lasciato le briciole, Nadal fuori gioco, davanti una strada spianata verso il settimo titolo di fine anno… sul più bello, Roger si è fermato.

Perché dall’altra parte c’è stato un giocatore che dopo aver perso nettamente il primo set, ha iniziato a giocare senza paura e anticipando i colpi com’è abituato a fare, nei giorni migliori; e anche perché Federer, a quel punto, ha finito la sua stagione. O forse, in realtà, l’ha conclusa qualche giorno fa.

È una partita, un torneo, che dimostrano che quanto fatto da Roger Federer quest’anno sia tutt’altro che una cosa ordinaria e naturale: un trentaseienne, per quanto fenomeno assoluto, non vince due Slam e tre MS1000 (più altri due 500) sfiorando la prima posizione mondiale. E quanto accaduto ieri mostra anche che la programmazione di Federer non aveva scopi soltanto “precauzionali” ma oggettivamente era l’unica cosa possibile da fare.

C’è naturalmente qualche errore qua e là, come Montreal giocato in condizioni fisiche non perfette per lo scarso allenamento con la brama del numero 1, che ha pagato amaramente con il riacutizzarsi del problema cronico alla schiena; forse sarebbe stato meglio preferire Bercy a Basilea ma tutti sappiamo che Federer non sacrificherebbe mai il torneo di casa: non lo ha mai fatto nemmeno quando i rapporti con il direttore del torneo erano pessimi, figurarsi adesso, negli ultimissimi anni della carriera.

Il punto è che Roger è arrivato alle ATP Finals con la razionale intenzione di vincerle e di chiudere in bellezza l’anno ma con l’energia e l’intensità esaurite tra Shanghai e la Svizzera; l’uscita di scena di Nadal, l’impossibilità di raggiungere la vetta finale, la spia della benzina che segna rosso e piccole distrazioni hanno fatto il resto. Umanissimo, dopo una stagione che ha fatto domandare a tutti quale fosse, ancora, il pianeta dal quale venisse.

“Non vedo l’ora di collassare in qualche spiaggia tropicale dopo il torneo”, ammetteva qualche giorno fa, parole precise.
Oggi potrà già iniziare, godendosi due settimane scarse di relax totale, prima di iniziare una preparazione che durerà venticinque giorni circa, prima di volare a Perth e poi a Melbourne, sperando di bissare i miracoli di questo 2017 che nessuno, prima di Gennaio, avrebbe mai pronosticato andasse in questo modo.

La finale se la giocheranno David Goffin e Grigor Dimitrov, una generazione data per persa che non si è mai completamente trovata ma che si ritaglia attimi di gloria meritati dopo lustri di gavetta e umiliazioni.

Rossana Capobianco

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