Il circo nel frattempo saluta e rimanda tutti gli appassionati a Gennaio. Molti degli amici già avevano salutato da mo’ a dire la verità, come ben sappiamo. Serena Williams su tutte nel femminile, fresca sposa e neo mamma. Quasi l’intera top-10 nel maschile, con il carro trainato sempre dai soliti, indomiti, infiniti Rafael Nadal e Roger Federer.
Ciò nonostante le ultime settimane hanno dato qualche spunto qua e là sul tennis che magari potremmo aspettarci nell’immediato futuro, guardando a quel primo Slam in Australia forse con un occhio diverso a quello avuto negli ultimi anni e senza dover per forza pensare che sarà sempre la solita solfa. Del resto, per certi versi neanche quello di quest’anno lo è stato, ma se nelle passate stagioni il crollo dei big nel finale di stagione (Finals a parte) aveva lasciato spazio ad altri volti che poi venivano rispediti nel dimenticatoio appena il gioco si rifaceva duro, quest’anno le sensazioni non possono che essere diverse.
Le ultime settimane ci hanno detto intanto che i Nadal e i Federer non sono più superuomini. Bella scoperta: uno a 31 anni e l’altro ben 36. Eppure probabilmente solo ora anche i giovani e i talenti della così detta lost generation forse se ne sono resi conto per la prima volta. Infatti mentre Nadal, dopo la batosta in finale a Pechino dava segni di sgretolamento fisico sempre più evidenti, culminati poi con il ritiro alle Finals, un Federer lontano dallo smalto (peraltro già allora non certo astrale), di Londra, quella verde, vinceva sì Basilea sudando sette camicie con Del Potro in finale per poi disertare Parigi (ovvio e giusto) e presentarsi alla O2 Arena in evidente riserva di benzina, riposo o meno.
Detto questo e avendo rimarcato già in passato la moria di top-10 da Wimbledon in qua, a Parigi si sono visti volti nuovi, che malgrado dessero la sensazione lì per lì di essere mere comparse, poi a Londra hanno più che dimostrato di meritarsi il posto guadagnato. Se a Basilea infatti come detto il titolo se lo sono giocati il padrone svizzero di casa e un Del Potro che dopo il successo a Stoccolma sembrava indirizzato verso l’Inghilterra forse persino da favorito finale, già a Parigi la musica è cambiata, con l’argentino che mancava la clamorosa, fino a 3 mesi prima, qualificazione in zona Cesarini tra i primi 8. Ciò nonostante, malgrado il puntualissimo e ormai purtroppo abituale pianto greco di Guy Forget per un Master zoppo che ogni anno i big in vista di Londra finiscono per evitare come il parmigiano sul pesce, il torneo francese ci ha consegnato delle semifinali totalmente diverse da quelle a cui eravamo abituati e un Sock (primo trofeo importante in carriera e 1000 che mancava agli USA da quasi due mandati presidenziali) a livelli ai quali i suoi ultimi compatrioti mai erano arrivati.
Nel frattempo partivano le prime Next Generation Finals che vedevano trionfare il sud-coreano Hyeon Chung su Andrey Rublev in un contesto milanese che, dopo l’imbarazzante cerimonia di apertura, faceva intendere che l’esperimento era tutt’altro che da scartare.
Il tutto mentre il circuito femminile chiudeva i battenti a Singapore, dove le top player facevano un po’ a gara a chi faceva peggio, malgrado le solite grandi battaglie tipiche di un evento che negli anni è diventato quasi “barbianamente” epico. Ne uscivano sorprendentemente Venus Williams e una ritrovata Caroline Wozniacki, che tornava a trionfare in un torneo importante dopo secoli.
Restavano così le Finals di Londra da disputare (mentre gli Stati Uniti al femminile tornavano a vincere la Fed Cup), dove tutti aspettavano solo che Federer alzasse il suo settimo titolo di Maestro. Invece spuntavano i David Goffin e i Grigor Dimitrov che non ti aspetti più. Prima il belga malgrado qualche tentennamento mandava letteralmente a casa i cocci di Nadal, poi trovava la migliore prestazione della carriera rimontando un set al grande favorito svizzero in semifinale e rischiando di vendicarsi su Grigor nella lotta per il titolo. Se il giocatore che tutti aspettavano sia in dirittura di arrivo è difficile da dire, fatto sta che sia lui che il bulgaro sono riusciti nell’impresa se non di farci dimenticare il fatto che a Londra mancassero i Murray e i Nole, almeno di distrarci da quella sensazione di vuoto. I due hanno dato luogo a delle prestazioni di altissimo livello, al contrario degli altri due giovani attesi, il tanto declamato Zverev e il sempre incompleto Thiem. Se il successo a Londra darà finalmente il via alla carriera di Dimitrov lo sapremo forse solo a Gennaio, ma visto che molti big nella prima parte della prossima stagione saranno ancora in rodaggio e dato che i primi due hanno pur sempre i loro annetti, stavolta lo spiraglio per Grigor e compagnia potrebbe aprirsi sul serio, segnando (e verrebbe da dire quasi “finalmente”) l’inizio di una nuova era. Torniamo a citare il solito motto degli ultimi 5 anni: “vedremo”…
Infine ci sembra almeno doveroso ricordare due eventi degli ultimi due giorni: il primo è stato l’addio di Zio Toni al tennis “allenato”, che costituisce la fine forse del più straordinario sodalizio della storia del tennis, per uno zio che ha reso grandissimo un giocatore prendendolo per mano fin da bambino. L’altro addio, ben più triste, è stato quello di Jana Novotna, spentasi in questi giorni a soli 49 anni, regina dai nervi fragili di un tennis scomparso e amata da tutti nella sua eterna rincorsa verso uno Wimbledon che sembrava non volerne sapere, annegandola nelle sue lacrime versate persino sulla duchessa di Kent. Il pensiero, in una rubrica che ha nel suo ruolo il ricordare, è doveroso: buon viaggio, Jana.
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