Il 2017 di Victoria Azarenka è un concentrato di pensieri, emozioni e sogni infranti. Un filo magnetico che è stato sempre più attratto da un polo di energia negativa, segnando una parabola discendente partita dai desideri e speranze iniziali di rientrare nel mondo del tennis fino all’amarezza di dover abbandonare tutto un’altra volta per concentrarsi sulle faccende della vita privata e la battaglia per l’affidamento del piccolo Leo.
Ripensare a tutto quello che è avvenuto negli ultimi 3 anni si rischia di entrare in un pozzo senza fondo, o ancor meglio in una vera giostra da montagne russe. Punti negativi e punti positivi che si susseguono senza un attimo di respiro. La depressione e la voglia di mollare tutto patita durante i tanti problemi fisici del 2014 e del 2015, la risalita dai margini della top-50 del 2015 fino alla riconquista della top-10 dodici mesi più tardi, dopo il mese di marzo del 2016 ed il “Sunshine Double”, l’abbinata Indian Wells-Miami. In mezzo, l’unico filo conduttore è la sua voglia costante di lottare. Non è, questo, un termine usato tanto per esprimere una caratteristica comune ai vari atleti, pronti a dar tutto quando si tratta di competere ad alti livelli. Nel caso della bielorussa c’è un carattere, alle volte anche sopra le righe, forgiatosi in un’infanzia vissuta in uno dei paesi più poveri del panorama europeo di 20 anni fa, dove lo stile di vita era condizionato dal governo dell’ex unione sovietica aveva condizionato (stessa cosa per tutti i paesi che col tempo si sono distaccati). In quelle persone, siano maschi o femmine, si è forgiato col tempo un carattere di ferro per sopravvivere alle minime avversità: Azarenka, a Melbourne, ricordava come da piccola quando girava per i primi tornei non poteva pensare neppure a fare due pasti al giorno per risparmiare i soldi con sé e concedersi giorni in più di viaggio; stessa cosa per i vestiti, o la paura di perdere per tornare a casa senza nulla. In un mondo come questo, ed è facile da immaginare questa situazione per tanti ragazzi, non è semplice investire soldi senza ritrovarsi poi qualcosa nelle mani. Non è carino per chi è più facoltoso, figuriamoci per chi doveva contare ogni minimo centesimo come la bielorussa. Eppure, col tempo ha saputo non solo vincere 2 titoli Slam (e giocare 4 finali) ma anche giungere al numero 1 del mondo.
Azarenka è diventata un simbolo in patria, ed il fatto che nel 2015 e nel 2016 abbia deciso di scendere nel gruppo 1 di Fed Cup per aiutare la propria nazionale (c’erano da far tornare i conti per poter partecipare alle Olimpiadi, poi saltate, però l’Azarenka vista in quei giorni era una giocatrice che non era giunta solo per fare presenza, ma che voleva uscire dal campo avendo dato tutto) ha portato tantissimi effetti positivi. L’approdo nel World Group, a fine 2015, è soltanto la ciliegina sulla torta. La squadra, ma anche l’intero movimento femminile, era sulle sue spalle e lei, vestita degli ovvi panni di leader, guidava la barca. In questi ultimi anni sono venute alle luce diverse giocatrici: Vera Lapko, classe 1998, vincitrice dell’Australian Open junior 2016; Aryna Sabalenka, classe 1998, finalista quest anno a Tianjin dove ha fatto tremare Maria Sharapova; Aliaksandra Sasnovich, classe 1994, fin qui impeccabile con la maglia della nazionale con una sola sconfitta (ininfluente) nelle ultime 8 partite e imbattuta nel World Group 2017.
L’assenza, a questo punto ufficiale, di Azarenka nella finale che tra due settimane vedrà la Bielorussia affrontare gli Stati Uniti a Minsk, peserà tantissimo e, come è chiaro, non solo per una questione di importanza della giocatrice. Anche quando non poteva giocare, “Vika” ha voluto dare il proprio contributo: lo scorso aprile, nella semifinale vinta contro la Svizzera, si è presentata fin dai primi allenamenti per dare la giusta carica alle connazionali. La frase che ripeteva più spesso, in quei giorni, era: “Vincete per me, poi a novembre andremo a fare la storia assieme”. Il piccolo Leo, allora, aveva appena 4 mesi. Oggi ne ha 10 e purtroppo è al centro della disputa molto scomoda tra la mamma e il padre, Billy McKeague, che al rientro da Londra, appena dopo Wimbledon, è andato davanti a un giudice per chiedere l’allontanamento del figlio dalla madre. I due non erano ancora sposati, e da quel momento Azarenka non ha più potuto allontanarsi dalla California per rimanere accanto al proprio figlio. Il giudice, come primo giudizio, ha stabilito che il piccolo non può lasciare lo stato della California in attesa che venisse chiusa la questione. All’inizio si vociferava una sentenza entro ottobre, ma da nessuna parte si è avuto poi notizia su come tutto si sia realmente svolto. Privacy, la parola d’ordine. Quantomai doverosa in certe situazioni, soprattutto se non riguardano un campo da tennis e se c’è di mezzo un bambino che è troppo piccolo per affrontare certe situazioni.
È da metà ottobre che la bielorussa riempie le proprie pagine social con foto di Leo, di video di lei che gioca con il figlio, o anche qualcosa di lei in palestra. Era bastato per alimentare in tantissimi la speranza che tutto si fosse risolto per il meglio e “Vika” potesse tornare a giocare al più presto. Così non è stato. Anzi, in alcuni di quegli scatti si nascondeva una verità rivelata poi dal capitano bielorusso Eduard Dubrou a Pressball.by: “È senza tennis da inizio luglio, ha perso diverso peso e massa muscolare. Non ho idea di come sia la condizione fisica, ma confesso di essere più preoccupato per quella mentale. Per questo non ho potuto convocarla, sperando possa tornare e darci una mano in futuro”.
Forfait a Linz, forfait in Lussemburgo, ora forfait all’appuntamento più importante della storia tennistica del proprio paese, lei che è la punta di diamante. La mazzata finale ad un 2017 che avrebbe dovuto (o potuto) essere la stagione del rientro, della risalita, delle soddisfazioni e delle imprese, invece è stato ancora una volta vissuto in una piccolissima parte e ha trascinato con sé rimpianti e dolori. Per una volta il campo, le sconfitte, il tennis, non c’entrano. Non per questo però bisogna essere sollevati.
Fed Cup, i convocati per la finale:
BIELORUSSIA
Aryna Sabalenka
Aliaksandra Sasnovich
Vera Lapko
Lidia Morova
USA
CoCo Vandeweghe
Sloane Stephens
Alison Riske
Shelby Rogers
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