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Singapore 2015: il capolavoro della maga Aga

Articolo a cura di Diego Barbiani
parte in corsivo a cura di Redazione

Il Master 2015 continua la rubrica “Storie di Maestre” pensata per avvicinarvi alle WTA Finals del 2017. È questa l’ultima edizione con una bandiera italiana presente nel lotto delle protagoniste: si tratta dell’ultimo evento di Flavia Pennetta nella carriera. Il titolo andrà ad Agnieszka Radwanska che compirà un capolavoro tra Round Robin e semifinale, dove darà tutto contro Garbine Muguruza. Al solito, un concentrato enorme di emozioni che cerchiamo di riprendere il più possibile.
Qui il racconto del 2012
Qui il racconto del 2013
Qui il racconto del 2014

Se prendete youtube e scrivete Agnieszka Radwanska Singapore 2015 hot shot (non vi preoccupate, siamo qui apposta) trovate un video di oltre 11 minuti che racchiude le soluzioni più spettacolari della polacca. Conosciuta da tutti come “Aga”, “Ninja”, “Maga”, “La Profesora” (copyright Garbine Muguruza dopo la loro semifinale in quell’edizione delle WTA Finals), c’è voluto il periodo sotto Halloween del 2015 per vederla realizzare il numero più bello e conquistare il trofeo più importante della carriera. Come? Sorprendendo tutti, altrimenti che maga sarebbe?

È un anno molto speciale, per tutto quello che è avvenuto nei mesi precedenti. Serena Williams era l’unica donna al comando, una donna in missione con vista sul Grande Slam. Ne mancavano due, ma di colpo in quel sabato così memorabile si trovava davanti a sé il suo carnefice, un profilo all’inizio impensabile: Roberta Vinci, colei che non aveva mai vinto più di 4 game in un set. Quel giorno è nata un’altra storia: la statunitense esce dal campo distrutta, due giorni dopo annuncia la fine della sua stagione. In quel momento una ventina di giocatrici rientrano nella corsa alle Finals e pochissime le settimane dove districarsi tra calcoli, numeri e limiti. Vinci, così come soprattutto Flavia Pennetta, grazie a quello Slam erano prepotentemente rientrate nella mischia. La tarantina vide i sogni infrangersi sul match point mancato contro Venus Williams nella semifinale di Wuhan, Flavia (che sul palco di Flushing Meadows aveva annunciato l’addio al tennis a fine stagione) fu in bilico fino all’ultimo e non riusciva veramente a sbloccarsi perdendo anche contro Lyudmyla Kichenok a Tianjin, con l’ucraina ben oltre il numero 400 del mondo. Alla fine la brindisina riuscì ad essere tra le prime 8, concedendosi una passerella d’addio in uno scenario molto suggestivo.

Il girone di Flavia è super: Maria Sharapova, Simona Halep, Agnieszka Radwanska. Dopo una falsa partenza contro la rumena, il pronto riscatto contro la polacca fa sognare: rimane la russa, già qualificata dopo il primo match di giornata, e soprattutto basta un set per essere la prima azzurra a raggiungere le semifinali. I precedenti aumentano le sensazioni positive: Sharapova non batte Flavia dal 2006 e nei 5 precedenti giocati l’azzurra ha sempre vinto un set. La partenza conferma tutte le previsioni: break in apertura, il solito rovescio che gioca ad occhi chiusi e che anticipa perfettamente i colpi della russa, togliendole tempo e campo

Sharapova è un po’ impaurita, quasi inerme. Ma una campionessa esce fuori anche in queste situazioni. Bastano tre punti e alla fine il set è suo. Il primo quando cancella una chance del doppio break, il secondo quando nel game successivo si porta per la prima volta 0-30, il terzo quando sul 6-5 15-15 trova il coraggio di essere lei la prima a spingere cercando la profondità, chiudendo col dritto successivo. Quello che sembrava essere un parziale a favore di Pennetta scivola invece dall’altro lato della rete e la partenza nel secondo set segna, di fatto, la fine della partita, del suo torneo, della carriera. Flavia, dopo il match point, viene cercata dai rappresentanti WTA che vorrebbero farle dire due parole al pubblico, lei invece non si ferma e scappa negli spogliatoi: “Non volevo mettermi a piangere davanti a tutti” dirà. Sharapova conclude dunque a punteggio pieno, oltre a pareggiare i confronti diretti con una delle giocatrici più ostiche con cui aveva avuto a che fare. La sua scelta, nonostante avesse le facoltà perché già prima del girone, è stata quella di essere super professionale anche nei confronti di una persona che avrebbe voluto continuare la sua favola alla passerella d’addio.

Con lei passa Radwanska. Come? Già, Aga. Che aveva perso la prima partita dopo tre ore di lotta contro Sharapova (sempre lei! sempre loro! sempre partita fiume!), che aveva perso in due set contro Pennetta, ma che grazie al parziale soffiato alla russa era ancora in gioco. Una sola chance su 16 per avanzare: battere Halep in due set. L’inizio della partita è come Sharapova-Pennetta: Halep padrona del campo. Eppure, Radwanska vincerà 7-6(5) 6-2. Cosa è successo? Vorremmo parlare di giochi di polso, di lob, di slice fintati corti, di approcci a rete in chop o di voleè basse con la solita, straordinaria semplicità di movimento e di tocco, invece ci concentriamo solo ed esclusivamente sul tie break (il resto potete vederlo, lo spettacolo della polacca comincia dal 3-2 Halep)

Indietro 1-5, ha vinto il gioco decisivo 7-5. Una rimonta pazzesca perché Halep sentiva il traguardo (era nella stessa condizione della polacca: un set e sarebbe passata) e stava giocando veramente bene. Sull’1-5 Radwanska gioca una veronica di rovescio magnifica perché schiaccia la palla nella zona con pochissimo campo a disposizione. Sul 4-5 con grandissimo coraggio gioca una risposta vincente di dritto che pizzica mezza riga esterna. Sul 6-5 un nuovo punto capolavoro.

L’autore del video qui lo indica come punto della partita (ci sta), punto del torneo (mh, tra i punti del torneo) e punto dell’anno (bon, sì, insomma, diciamo che rimane pur sempre una solida nomination). Radwanska fa almeno tre cose grandiose: il passante quasi in controbalzo con il dritto, potente e preciso, il successivo lob spalle alla rete quasi senza guardare come colpisce la palla (difficoltà 1000), la veronica di rovescio prima dell’ultimo passante. Tennis, ti presento Agnieszka, trattala bene e conservala più a lungo che puoi.

Il secondo parziale è un lampo tutto a tinte bianco-rosse. La differenza è netta già solo nel guardare i movimenti delle due: Radwanska è leggerissima, sembra non far neppure fatica con quei colpi dove si aiuta (soprattutto col dritto) con il suo busto (“ho deciso io, con il mio team, di non rinforzare la muscolatura per non perdere troppo la mia femminilità” dirà qualche mese più tardi); Halep è sempre più pesante, non solo per una costituzione fisica che la porta ad avere gambe più potenti e che si fanno ben sentire quando poggiano a terra. Aga ce la fa: dopo un 1-5 recuperato contro Sharapova che è valso la qualificazione alle semifinali, nel 2014, un nuovo 1-5 recuperato la porta in semifinale nel 2015.

L’altro girone ha un esito molto simile: Garbine Muguruza già qualificata dopo 2 vittorie affronta una Petra Kvitova bisognosa di vincere, ma la spagnola (in gara anche in doppio e senza giorni di pausa) è in forma smagliante e prevale 6-4 4-6 7-5. La ceca, però, si qualifica grazie al regalo della connazionale Lucie Safarova che vince, pur da eliminata, la prima partita del suo torneo, contro Angelique Kerber. La tedesca, nell’ultima apparizione prima di quello che sarà un 2016 da incorniciare, andrà via da Singapore con tantissimo rammarico e in conferenza stampa sfoga il suo malessere: “Quando la prima partita era finita qualcuno mi ha detto cosa avrei dovuto fare per passare il turno. Non avrei dovuto, ma ho cominciato a pensare a tutto quanto e mi sono bloccata, e più vedevo che non riuscivo a giocare più mi saliva l’ansia: queste partite dovrebbero essere disputate in contemporanea”.

Le semifinali sono rocambolesche. Tra Kvitova e Sharapova è una sfida tra “risorte”: Maria non giocava praticamente da Wimbledon a causa dei problemi all’avambraccio, Petra era stata vittima della mononucleosi. La ceca vince il primo parziale ma il secondo sembra tutto ad appannaggio della russa, che però (nuovamente!) dal 5-1 non riesce a trovare la via per chiudere la frazione e concede 6 game di fila alla sua avversaria, per la prima volta in finale dall’edizione (vinta) del 2011. Tra Radwanska e Muguruza va in scena invece la partita del torneo e una delle 3 più belle in assoluto della stagione.

Già l’inizio è un segnale fortissimo. Nel quarto game si vede una buona parte dei conigli dal cilindro che Radwanska mostrerà durante la partita. Controsmorzata millimetrica e palla che si ferma dove rimbalza, slice fintato in lungolinea, passante in slice di dritto. In quanto a potenza, la differenza fisica è ancora più evidente eppure la spagnola, bravissima, non cerca di mettere la partita solo sul quel piano ma trova anche ottime scelte di fino (3:30) e recupera il divario fino ad avere, sul 4-4, la chance di servire per il set. Sfidare però Aga sul piano della fantasia è un rischio che non paga, almeno nel 98% dei casi. Infatti, chance di 5-4 e servizio e la polacca va con una smorzata seguita da un lob sulla linea di fondo campo. La partita è bella, varia, aperta a ogni soluzione. Nel tie-break la polacca è ancora avanti 4-1, ma sul 4-2 perde il punto che probabilmente è valso l’intera frazione. Un nuovo scambio lungo, ancora due lob, eppure stavolta la spagnola non molla e chiude, in qualche modo, giocando uno smash quasi scavalcata dalla palla. Ecco perché, dopo l’ultimo rovescio, il suo volto riprende colore e urla con tutto il fiato che ha. È passata un’ora faticosissima, che si riflette nei primi game del secondo parziale. Lei è ancora in riserva, l’altra dispensa magie in lungo e in largo: la smorzata a uscire giocata su una palla che aveva effetto contrario per via dello slice di Muguruza, 7:30, rimane difficile già solo da immaginare; il passante in slice stretto giocato dalla prima fila, 8:20, è stretto parente.

Chiuso il set con un altro giochetto a rete, nel parziale decisivo è sempre lei a partire forte. Sul 4-1, primo punto, altra discesa a rete, altro coniglio estratto dal cilindro (va bene, forse ha messo la racchetta un po’ alla buona, ma chi siamo noi per giudicare?). Garbine, con uno sforzo ulteriore, trova la via del 4-4: sul 3-4 cancella un 15-40 con due ace. Il pubblico è quantomai partecipe del momento, scattando in piedi senza sosta e con “ooooh” ad ogni soluzioni diversa dal normale (cioè in media una ogni 2). Radwanska ne ha di più, ma l’avversaria trova sempre il coraggio di giocare lungolinea vincenti nei momenti di maggiore bisogno. Sul 6-5 per Aga, e la spagnola al servizio sullo 0-15, questa deve arrivare a 4 accelerazioni per trovare il punto. Sul 15-15, invece, l’ennesimo colpo di genio della maga con un passante in slice tesissimo che Muguruza riesce comunque a rigiocare, ma nulla può sul successivo lob. Da lì nasce l’epilogo del match perché, ancora sotto pressione, Garbine non riesce a sollevarsi e dopo l’ultimo rovescio in rete le lacrime cominciano già a scendere sul volto dell’avversaria. E doveva ancora arrivare la laurea.

Anche la finale va alla lunga distanza, ma è molto più altalenante come livello. Quando una gioca bene, l’altra è più assente. Solo nel terzo set ne esce una sfida molto equilibrata. Radwanska comincia da dove aveva lasciato la semifinale e domina sia il primo che metà del secondo set. Kvitova era più in difficoltà da un punto di vista fisico, ma nel momento in cui comincia a colpire qualche vincente di fila ecco che avviene il rapido rovesciamento di fronte. La sua risposta è super efficace, anche i movimenti lungo il campo sono più reattivi e dall’1-3 nel secondo set fino agli ultimi punti del terzo prova in tutti i modi a far sua la partita. Grande merito alla determinazione di Radwanska che dopo 7 game consecutivi subiti rientra nel match giocando il miglior tennis nel momento più importante. Dal 2-0 Kvitova nel terzo set riesce nuovamente ad allungare gli scambi, a gestire l’aggressione della ceca nei primi colpi e a spostarla molto più di prima. La tattica ha i suoi frutti: sul 2-0 15-15 ecco il punto che gira definitivamente la partita. In quello scambio Radwanska gioca almeno 4 colpi super. Il primo dal centro del campo verso sinistra, il secondo dal centro verso destra, il terzo a baciare la linea di fondo, poi la voleè immancabile con la palla nelle stringhe, giudicato il punto più bello della stagione WTA. Comincia così il parziale di 6-1 che porta la polacca al successo. Dopo l’ultimo errore di Kvitova, tornano le lacrime sul suo volto. Il capolavoro è completato, il titolo di “Maestra” a una che già viene definita “Profesora” è una lode che prima o poi sarebbe arrivata.

Redazione

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