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Le strane emozioni di Federer

 

Fai finta di non lasciarmi mai anche se dovrà finire prima o poi questa lunga storia d’amore

Novantacinque in carriera: stacca Lendl, insegue la chimera Connors, troppo lontana, tutti han saputo sempre essere irraggiungibile. Quasi sicuramente lo è pure per lui, per l’uomo a cui i record interminabili non hanno scalfito per intero lo stupore, la strana sensazione di trovarsi indifeso di fronte alla paura di fallire e di scontentare il pubblico di casa sua.
Quello di un’arena che il prossimo anno sarà intitolata a lui: la Roger Federer Arena del St. Jakobshalle, un’arena che ha calcato da bambino come raccattapalle e non se n’è mai dimenticato. D’autunno, mentre le foglie dei tanti alberi nei viali in cui camminano quasi soltanto i tram della tranquilla cittadina svizzera si fanno sempre più oro, è ormai da quasi vent’anni il tempo in cui Basilea si stringe attorno al suo campione di casa: lo ha dapprima fatto con estrema sobrietà, spesso sfociata in un atteggiamento snob; quando ne ha capito la reale grandezza e il fatto che non possa durare per sempre, ha rotto gli argini.

È stata una settimana strana in un anno fin troppo strano per Roger Federer, in senso positivo, si intende, perché quando vinci l’ottavo titolo a Basilea e il settimo (su undici giocati) in stagione, di cui due Slam e tre MS1000, a 36 anni, non può che essere una stagione trionfale e posto per qualche pensiero amaro non dovrebbe proprio esserci.

Invece, se si legge tra le righe e si guarda oltre il luccicante trofeo, che richiama per sfarzo quello di Wimbledon (anche quello vinto per 8 volte da Federer), si nota che forse una consapevolezza inizia ad affiorare in Roger: un pensiero che va man mano divenendo concreto, dei progetti che si avvicinano e il resto che va pian piano allontanandosi.

Una decisione forse non è ancora stata presa ma un’idea forse c’è: forse Roger Federer sa che il prossimo anno potrebbe (potrà?) essere l’ultimo.
Lo dicono le sue emozioni altalenanti oggi, l’incapacità di mantenere la calma di fronte a un pubblico di casa a cui ha sì sempre tenuto in maniera esagerata ma che oggi in particolar modo non voleva deludere, quasi fosse il naturale saluto da vincente a tutti i costi; lo dice, in qualche modo, dietro una frase che può voler dir tutto e nulla: “Il mio ritiro arriverà prima di quanto credono tutti”; il fatto che la prossima stagione avrà avuto un riconoscimento che da piccolo, quando insieme all’amico Marco Chiudinelli (ritiratosi proprio qui durante questa settimana) passava le palline ai suoi idoli d”infanzia, mai avrebbe creduto possibile. Trent’anni dopo, la possibilità (non la certezza) di chiudere a casa sua nel 2018 dopo -magari- una stagione in cui provare a vincere l’ultimo Slam è golosa, plausibile, forse sempre più vicina.

forse è già tardi ma è presto se tu te vai, è troppo tardi ma è presto se tu te ne vai

 

Rossana Capobianco

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