10 giugno, 7 ottobre. 109 giorni dopo Simona Halep ha chiuso il cerchio e superato quello che può definirsi lo scoglio più difficile della sua carriera. Quattro mesi di sconfitte nei momenti decisivi, di delusioni e giornate vissute sentendosi a pezzi. Prima la finale Slam a Parigi, lì dove tutto sembrava apparecchiato apposta per lei. Come nel 2014, le tribune del Philippe Chatrier erano tinte del tricolore rumeno, banidere giallo-rosse-blu e tantissimi connazionali presenti per cercare di spingere la giocatrice di Costanta al doppio traguardo: uno Slam e il numero 1 del mondo. Sarebbe stato tutto perfetto, non fosse che quel giorno Jelena Ostapenko decise di mostrare al mondo tutto il suo potenziale in due ore di partita in cui è andata a prendersi il titolo nell’unico modo in cui concepisce il tennis: attaccando senza sosta, prendendo ogni riga del campo, decidendo lei il suo destino. Quel giorno, ad Halep, non bastò essere avanti 6-4 3-0, o 3-1 nel terzo set, perché a risuonare lungo tutto lo stadio fu l’inno lettone a glorificare l’altra, la giovincella senza alcuna paura e timore reverenziale.
“Ero distrutta” dirà poi, “parlai con Kim Clijisters dopo quel match e lei mi raccontò che prima di trovare un successo Slam dovette aspettare 4 finali, la mia era solo la seconda, ma faceva malissimo”. Poi a Wimbledon, quel set di vantaggio contro Johanna Konta, il 5-5 nel tie-break del secondo dove si è fatta aggredire, la palla chiamata “out” sul match point avversario sul 5-4 nel terzo e l’impossibilità di rigiocare il punto. Il tutto dopo aver buttato una nuova ghiotta chance ad Eastbourne, fino al tracollo nella finale di Cincinnati e l’eliminazione al primo turno dello US Open dove anche la fortuna le voltò le spalle, abbinandole Maria Sharapova. Delusione dopo delusione, occasioni perse a ripetizione. Era un incubo, eppure sorprendeva la capacità di riproporsi sempre e provare a parlare di questo momento con il sorriso. Fu intervistata poco prima del torneo di Pechino da un media rumeno e ridendo, alla domanda sui tanti cambi avuti al numero 1 del mondo in stagione, rispose: “Sono l’unica costante: tutte passano da numero 1 a 3-4, ma io rimango sempre al numero 2”. Era l’unico modo, probabilmente, per non diventare matta. Un po’ come nella nostra vita di tutti i giorni, quando c’è un compito che non riesce e ci si riprova in tutti i modi, come un esame universitario che sembra stregato. Alla fine è arrivata la promozione con la lode, perché la partita contro Ostapenko chiude il cerchio.
Halep è forse l’esempio maggiore della costanza a livello WTA. Tanti tornei giocati fin da quando è diventata una delle migliori, e tantissimi mesi in top-5. Ne accennavamo ieri sera, nell’articolo dove riportavamo alcuni dati sulle semifinaliste. 189 settimane di fila in top-10 da fine gennaio 2014. Da metà marzo, un mese e mezzo dopo, è entrata in top-5. Da lì in poi è rimasta fuori dalle prime 5 solo per 9 settimane, 63 giorni, 2 mesi. 54 le settimane trascorse al numero 3, 51 quelle al numero 2. Nessuna come lei, anche in una stagione che sembrava veramente essere stregata. Lo scorso ottobre si fece male al tendine del ginocchio, la vedemmo uscire dalla sala stampa di Singapore dopo l’eliminazione nel Round Robin vistosamente zoppicante. Questo ha significato un ritardo piuttosto importante nella preparazione, un ritardo di condizione che si è protratto in 3-4 mesi di inizio 2017 piuttosto negativi e tante sconfitte premature, il momento no di Miami dove rispose male a Darren Cahill e mise a serio rischio quella che sembrava essere una collaborazione più che mai solida. Solo pochi mesi prima, infatti, aveva annunciato che non avrebbe mai più voluto separarsi dall’australiano.
Cahill è poi rientrato a Madrid e da lì in avanti è tornata la Halep regina della costanza. 5 finali su 11 tornei disputati, 2 sconfitte in semifinale e 3 ai quarti, con l’unico neo del 6-2 6-1 rimediato contro Daria Kasatkina a Wuhan (oltre al primo turno perso contro Sharapova allo US Open, che però per qualità valeva tranquillamente una semifinale). Singolare poi che per arrivare al numero 1 e concludere questo percorso così tortuoso abbia: battuto per la prima volta in carriera Sharapova, si sia presa la rivincita (con lo stesso punteggio) contro Simona Halep e abbia superato anche Ostapenko. Tre delusioni cancellate in tre giorni. Il cerchio si è chiuso, la ferita è quasi interamente rimarginata. Rimarranno le cicatrici, perché ognuna di quelle sconfitte ha voluto dire qualcosa di importante, ma adesso sarà forse più semplice ripensarci e lasciarsi andare ad un piccolo sorriso. Serve anche questo per crescere nel proprio percorso e alla fine, le lacrime versate dopo l’ultimo dritto di oggi, hanno un sapore più dolce.
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