Finite le prime giornate delle WTA Finals ci eravamo figurati dei ruoli di forza abbastanza chiari: Simona Halep, Garbine Muguruza, Karolina Pliskova e Caroline Wozniacki (in rigoroso ordine di ranking), al di là delle loro vittorie in due set, avevano le qualità per affrontarsi in semifinale e sembravano con una marcia in più rispetto alle altre 4 giocatrici. Caroline Garcia non sembrava al livello visto in Cina, Jelena Ostapenko avrebbe dovuto affrontare una Williams, Venus pur pensando ad una vittoria contro la lettone avrebbe dovuto affrontare poi la spagnola nella giornata decisiva (e Muguruza ci aveva sempre vinto in stagione). Elina Svitolina era forse l’unica a poter concretamente rientrare nel giro delle qualificate, ma con una situazione molto più complessa da prevedere.
Nel giro di 4 giorni è cambiato tutto e quello che salta subito all’occhio è la doppia, pesante, bocciatura di Halep e Muguruza. Le numero 1 e 2 del seeding, divise da 40 punti l’un l’altra, avrebbero dovuto andare quantomeno a giocarsi un posto in finale. Erano partite molto bene, come detto, e dovevano entrambe cancellare le ultime apparizioni a Singapore piuttosto opache. Per la spagnola c’era un 2016 accompagnato da una lunga scia di risultati negativi dal trionfo al Roland Garros e culminato con una sola vittoria, peraltro a eliminazione già ufficializzata. Per la rumena sia nel 2015 che nel 2016 c’erano state sonfitte molto dolorose nell’ultima giornata, quando doveva vincere almeno un set. Casualmente, la giocatrice che finiva per vincere quel match in due avrebbe poi vinto il torneo, prima Agnieszka Radwanska, poi Dominika Cibulkova. Un mezzo colpo gobbo sarebbe stato possibile anche oggi, perché Svitolina a conti fatti ha ottenuto il successo che le avrebbe dato la possibilità di qualificarsi, ma il capolavoro ottenuto un paio d’ore prima da Garcia ha reso tutto quanto vano.
Halep è sembrata frastornata, trasformata in negativo rispetto all’esordio, quanto tutti le avevamo riconosciuto ottimo sangue freddo e grande capacità di cogliere ogni occasione utile per scavare un solco tra lei e Garcia. Un 6-4 6-2 maturato in maniera piuttosto semplice e rapida, non troppo diverso dal match che aveva dato a Muguruza la prima vittoria contro Ostapenko. Poi i 2 soli game raccolti contro Wozniacki che stavano per essere replicati dalla spagnola, che sul 2-6 0-5 0-40 ha avuto un momento positivo e ha raccolto due game in più contro Pliskova. Entrambe, comunque, avrebbero tranquillamente potuto qualificarsi. Entrambe, invece, hanno fallito nel momento decisivo, giocando nel complesso due brutte partite e meritando una fine anticipata della loro stagione. È un segnale difficile da interpretare, perché sappiamo che in una stagione dove i giochi di forza non sono esistiti e c’è stato tantissimo equilibrio tra le prime 5 del mondo, essere al comando della classifica è più un dato statistico che un reale segno di dominio. La distanza tra Halep e Svitolina (che rischia addirittura di scendere al numero 6 se Wozniacki e Venus Williams saranno in finale) è ridottissima, siamo ad appena 675 punti con tantissimi già in palio nel primo mese dell’anno.
Che dire delle altre? Per Venus Williams ci sono soltanto lodi. Nonostante fosse 10 anni più vecchia della seconda più “anziana” delle Finals, è riuscita a lasciare il segno in maniera indelebile, vincendo la partita più lunga nella storia del Master femminile, per numero di game, contro una ragazza di ottimo futuro ma ancora con alti e bassi come Ostapenko. La lettone è riuscita, contro Pliskova, a concludere il suo torneo con una vittoria. Per la ceca ottimo l’impatto nei primi match, dove ha subito ottenuto la qualificazione a furia di 6-2, mentre dalla lettone ci si attendeva forse di più, perché lo stato di forma con cui veniva annunciata era superiore a tante altre (Williams compresa) ma come per Svitolina questa potrebbe comunque rivelarsi un’ottima esperienza per il futuro. Parlando dell’ucraina, viene difficile dare un giudizio alla sua stagione. Se parliamo di puri numeri, lei è stata in assoluto la migliore contro le primissime del ranking: 8-1 contro le prime 5 nel 2017, imbattuta quando è andata ad affrontare le prime 3 del mondo, 5 vittorie nelle ultime 5 uscite contro le numero 1 del mondo regnanti da Rio 2016. È la giocatrice che più avrebbe meritato di continuare il torneo, basandoci su questi dati, eppure ha pagato anche lei un momento no rivedendo quanto accaduto a Pechino 3 settimane fa, quando pur servendo per il match non aveva chiuso la sua partita contro Garcia. Non solo, come avvenuto in Cina ha sempre mancato di confermare il break di vantaggio all’interno dei parziali. Inoltre, in un giudizio complessivo pesano le due opportunità mancate nei quarti di finale Slam tra Parigi e US Open, prima mancando una vittoria ormai certa contro Halep (che rimontò da 3-6 1-5) poi contro Madison Keys (che rientrò da 7-6 1-6 2-4). Ha tanto da lavorare, sull’aspetto mentale, ma ha il tempo dalla sua, quello che ad esempio comincia a scarseggiare ad una Halep che il prossimo anno andrà per spegnere le 27 candeline.
Volendo essere sinceri, l’unica che ci sentiamo di promuovere a pieni voti nel Gruppo Rosso è Garcia. Prima volta al Master, dopo tutto quello che ha vissuto nel 2017 e dopo una sconfitta netta contro Halep alla prima giornata ha saputo reagire nelle partite successive dove in entrambe aveva preso un set di ritardo, rientrando in entrambe da 3-5 al terzo set. Di nervi la sua vittoria contro Svitolina, un capolavoro quella contro una Wozniacki che era apparsa fin lì inarrivabile e che si è riscoperta umana, vittima delle sue tipiche debolezze e difficoltà.
Ha alzato diverse sopracciglia la scelta di chiamare il coach dopo aver vinto il primo set 6-0, dopo aver vinto i primi 5 set del suo Master 6-2 6-0, 6-0 6-2, 6-0. A che serviva? C’era qualcosa da discutere? No. E la sensazione è quella che la danese è ancora troppo dipendente dai consigli del padre/allenatore. Le Williams, così come Agnieszka Radwanska, non chiamano mai i propri coach. Maria Sharapova (soprattutto), Petra Kvitova e Victoria Azarenka limitano le chiamate a quando è strettamente necessario. Nessuna delle big chiama il coach con l’insistenza che fa Caroline, a cui non fa differenza essere avanti o indietro nel punteggio, e che probabilmente così è riuscita soltanto a complicarsi le idee visto che nel momento in cui è ripartito il match lei è stata travolta dal rientro inatteso della sua avversaria. Da che dominava, è stata presa a pallate senza la capacità di rialzare il livello. Abbiamo azzardato avesse giocato un primo set ancora sul 90-95% di media, ma nel secondo è vistosamente crollata e nei 4 game persi nella fase centrale poteva solo ributtare la palla al di là, quando poteva. Poi di nuovo, nel terzo set: preso il break di vantaggio, ha chiamato il padre in campo. Perché? È la domanda che in tanti si chiedevano. La sensazione che traspariva era che in pochi game aveva distrutto tutto quello che di buono aveva costruito fin lì. Pur vincendo punti, portandosi avanti nel set decisivo, non c’era più quella sensazione di onnipotenza e onnipresenza. La stessa Garcia ha sentito questo, continuando a crederci anche con un break di ritardo e anche dopo aver visto svanire 2 palle break sul 2-3 e un 15-30 sul 3-4. Nel finale, la frittata definitiva di cui vi avevamo accennato: non ha chiuso sul 5-4, non ha chiuso un game in cui era 0-40 sul 5-5 giocando malissimo ogni palla break (dove fin lì invece era stata quasi perfetta con un 5/6), si è fatta ripetutamente aggredire sul 5-6 sul dritto, colpo che ha cambiato andamento nel corso del match. Da che non aveva perso un turno di battuta nei primi 19 giocati, ha perso 5 dei successivi 9.
L’unica soddisfazione per lei è che in semifinale non avrà Venus Williams, giocatrice che l’aveva battuta 7 volte su 7 lasciandole un solo set. Si riproporrà infatti una delle rivalità più belle del 2017 contro Karolina Pliskova, con già 5 confronti e un bilancio di 3-2 in favore della ceca. La superficie però è piuttosto lenta e dunque la favorita sarà ancora la numero 6 del mondo, che in condizioni simili ha trionfato sia a Toronto (partitone finito 7-5 6-7 6-5) che a Miami. Questa Karolina, però, non può recitare la parte di chi si lascia superare senza provarci, anche perché è l’unica rimasta che può impensierire la leadership di Halep e può far valere il fatto che tra le 5 regine approdate al numero 1 del mondo in questo caotico 2017 lei è l’unica che è stata in grado di giungere tra le migliori 4 al Master. Adesso avrà il compito più duro.
Di là Garcia e Venus Williams. La finalista sarà sicuramente una sorpresa e per quanto l’esperienza abbia fin qui aiutato tantissimo la statunitense, pensare a una Garcia nuovamente vincitrice non è così assurdo. Ha dimostrato un carattere eccezionale nonché il miglior tennis nel momento del bisogno. Avrà meno tempo per recuperare, ma anche l’adrenalina che ancora scorre per aver girato come un calzino un girone in cui sembrava quasi spacciata. Le ultime vittorie, tra Radwanska e Cibulkova, sono nate proprio così. Buone semifinali a tutti.
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