Continua il cammino di Maria Sharapova, che è tornata in una seconda settimana Slam dopo l’Australian Open 2016, ultimo Major disputato prima di tutte le vicende di doping, wild-card e infortuni. C’è tanto della tenacia e dello spirito della campionessa in questo risultato, costruito passo passo nella voglia di non mollare la presa sul tennis anche quando era squalificata e forse, l’idea di ritrovarsi ancora felice su un campo da gioco, le appariva così distante.
Per la terza volta su tre partite, Sharapova ha potuto disputare la sua partita sull’Artur Ashe. La USTA è stata molto chiara in merito: per loro Maria è completamente riabilitata a giocare a tennis e l’etichetta di dopata è sparita nel momento in cui sono evaporati i 15 mesi di stop. Ragionamento in netta controtendenza rispetto al Roland Garros, che invece per un discorso di salvaguardia degli alti valori dell’evento (su cui ci sarebbe da discutere per alcune domande non risposte) decise di non assegnargliela perché proveniente, appunto, da una squalifica. Allo stesso modo però una wild card (per le quali) andò ad un giocatore, Costantin Lestienne, squalificato 7 mesi a metà 2016 per scommesse, dunque rimangono una serie di dubbi sulla decisione presa quel giorno da Bernard Guidicelli, capo della FFT. A Sharapova però questo ormai sembra interessare relativamente. Per lei sembra esserci solo una voglia matta di giocare: “dove” e “come” non fanno differenza.
“Sarei pronta a giocare anche il torneo junior, se dovessi” aveva risposto nella conferenza stampa dopo il match contro Roberta Vinci a Stoccarda, in una sala gremita fino all’inverosimile e dove, davvero, si faceva fatica a fare dei passi per prendere posto sulle sedie. Quella sera, al di là dei silenzi sulla sua situazione medica e su come stesse gestendo i problemi che avevano portato all’assunzione del meldonium, diede una risposta molto potente, tra un sorriso e l’altro, su quello che lei avrebbe voluto per Parigi: giocare. Stop. Dove? non interessava. Volevano punirla per il doping e farla ripartire dal torneo junior? Bene, benissimo. Questo è lo Sharapova-pensiero: il tennis prima di tutto. “I’m way above that” (“Sono molto superiore a questo”) detto delle dure critiche di Eugenie Bouchard di 48 ore prima, quando la canadese pronunciò la frase “È una scorretta che non dovrebbe tornare a giocare”.
Di nuovo, allo US Open, uno scenario molto simile. Per la USTA lei è semplicemente una giocatrice che in passato (2006) ha vinto il torneo e che ora non ha classifica sufficiente per poter accedere al tabellone principale, dunque è stata aiutata con una wild-card come già accaduto in passato per tanti altri giocatori, tra cui Kim Clijsters e Lleyton Hewitt. Ed essendo lei una delle icone dello sport, ha diritto all’Artur Ashe. Per Sharapova, però, il campo non conta, o almeno non in maniera così importante: “Non sono io a comporre l’ordine di gioco. Ho però un forte spirito di competizione. Se dovessero mettermi a giocare in un parcheggio del Queens a New York, sarei felice di poter giocare lì. Non è questo che mi interessa. L’unica cosa che mi interessa è essere agli ottavi di finale”. Da parte sua, dunque, completa dedizione al gioco, al momento, alla propria passione. Opinioni diverse: una (Wozniacki) vuole che sia fatto valere il suo diritto ad un campo principale derivante dal suo ranking ottenuto con vittorie su vittorie, l’altra (Sharapova) confessa di potersene infischiare anche perché da professionista deve potersi adattare ad ogni situazione. Non siamo qui a decidere chi ha ragione o meno ma sì, l’atmosfera è tornata frizzante. Ottimo preludio a quelli che saranno i primi ottavi di finale a scendere in campo.
La parte bassa del tabellone è di alto, altissimo livello. Chi parla di una Sharapova già in finale potrebbe anche averci preso alla lunga, perché tutto da adesso è possibile, ma poi è tutta da vedere. Forse contro Sevastova, che comunque ha un gioco che si adatta molto bene a tutte le superfici ed è stabile in top-20 da ormai un anno con ottimi piazzamenti (una semifinale a Dubai e una a Madrid, più il titolo a Maiorca: tre superfici diverse), la difficoltà non sarà ancora così impervia, ma poi sì comincia a toccare quote molto alte. Nei quarti di finale una tra Sloane Stephens e Julia Goerges, ovvero le migliori tra le giocatrici in seconda fascia nell’ultimo mese. La statunitense era numero 933 del mondo il 4 di agosto, a causa di un anno di stop, ora è quasi dentro le prime 60 del mondo. Semifinale in Canada, a Cincinnati, quarto turno a New York. 4 vittorie contro top-15 fin qui (2 volte Kvitova, poi Cibulkova e Kerber), mai aveva raggiunto questo numero in ognuna delle precedenti stagioni. La tedesca, invece, sta giocando la miglior stagione della carriera in quanto a vittorie ottenute: con quella contro Aleksandra Krunic è giunta a 37, poco distante dalle 40 e 43 ottenute nel 2011 e nel 2007, dove però divideva l’attività WTA con quella ITF.
In semifinale, poi, una tra Garbine Muguruza, la vera favorita per l’ultimo atto, Petra Kvitova, Venus Williams o Carla Suarez Navarro. Su 4 nomi, 3 valgono la top-5. Suarez Navarro, che sembra quella più in difficoltà, ha comunque già battuto Venus (la sua avversaria ora) in qualche circostanza tra cui un 7-5 all’Australian Open 2009, e aveva ottenuto 5 successi di fila contro Kvitova. Tutt’altro che scontato, dunque, l’approdo in finale della russa. Tutte da vivere, invece, le sfide che accompagneranno il torneo agli ultimi giorni, in attesa di quella che sarà la linea di ottavi della parte alta. Serve continuare la lotta per il numero 1, dunque 2 nomi vorremmo fossero Karolina Pliskova e Elina Svitolina. Poi gli occhi saranno soprattutto sull’ultimo ottavo: Jelena Ostapenko contro Daria Kasatkina, la sfida tra giocatrici nate nel 1997, con la vincente che affronterà la coetanea Naomi Osaka o la rediviva Kaia Kanepi. Sono uscite anticipatamente alcune teste di serie importanti (Simona Halep su tutte), ma chi è rimasta è un “rimpiazzo” di assoluto livello.
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