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Ai giovani tennisti mancano i sentimenti, ma non gli sponsor

L’evento di Milano si avvicina ed essendo, quella di quest’anno, la prima edizione in questo 2017 ogni occasione era buona per tirare in ballo l’appellativo NextGen riferito a giocatori di età inferiore al 21° anno di età. Volente o nolente tutto questo parlare di NextGen e il ritorno ai vertici di Nadal e Federer ha fatto sì che tornassero molto di moda i discorsi sulla successione al tennis mondiale. Andando ad abbracciare così oltre ai teen-ager anche alcuni giocatori che aspettiamo ormai da un paio di anni ad una consacrazione mondiale.

Un passo più in profondità, tra il nostro sport e il tabellone dello Slam appena concluso, ci dice che siamo abituati da anni a far trionfare la tecnica, il bel gioco, i colpi sensazionali. Appena vediamo un giocatore con un po’ di talento cristallino lo eleggiamo già a campione del futuro (Zverev, Shapovalov) salvo ricordarci poi, alla prima stesa subita, che ci sono giocatori che grazie al duro lavoro e la costanza e anche una mentalità concreta, meno illuminata dal genio, riescono ad ottenere risultati costanti e in modo cinico (Carreno Busta, Schwartzman).

Sembrerebbe che siamo arrivati così alla sintesi, prendere A (il talento) e unirlo a B (costanza di rendimento) ci dà C, il campione vincente del futuro, ma così non è. Grazie ad un incontro in particolare, un ottavo di finale della parte alta, del recente Us Open possiamo dire che forse ai giovani manca la motivazione, anche se è più romantico chiamarla emozione che li spinge a.

Ricordate Juan Martin del Potro quasi immobile in campo mentre Thiem era avanti due set? Poi un coro dal pubblico, qualche vincente di Delpo e la partita gira regalandoci una grandissima rimonta. L’argentino lo conosciamo e sappiamo che lui, come anche un Federer tornato da uno stop di sei mesi o Nadal non ancora stanco di dominare sul rosso per la decima volta, sono spinti da motivazioni/emozioni che sembrano non emergere dai giocatori della prossima generazione.

Questa ricerca del “prossimo numero uno” ha forse montato un po’ la testa ai giocatori e se non ci han pensato i media ci pensano gli sponsor. Appena ottengono un risultato di rilievo vanno subito sotto contratto e questo evento di fine anno rischia di essere un boomerang perché invece di lanciarli potrebbe farli sentire già arrivati.

Il caso di Tomic, giovane e talentuosa promessa australiana, che non avvede attraverso il tennis uno scopo da raggiungere, probabilmente fosse stato “brutto” (sia in campo che fuori) come Davydenko e quindi senza grandi introiti finanziari che non dipendessero dai risultati si sarebbe impegnato maggiormente e non giocherebbe a tennis in modo meccanico al punto da arrivare ad odiare quello che fa.

Ovviamente quella del russo non era la ragione più nobile, ma era pur sempre uno stimolo. Adesso il tennis è molto cambiato, ci sono più premi per tutti, gli sponsor non si fanno scappare un possibile campioncino in tenera età, ma soprattutto sembra che a chi gioca non importi poi troppo il giocare e divertirsi in sé se poi è per vincere tornei importanti, realizzare record o raggiungere una soddisfazione personale, niente.

Non trasmettono nulla, sembra non vogliano raggiungere nulla e, tranne eccezioni di pochi rappresentanti della vecchia generazione, il tennis in questo momento rasenta il nulla.

 

Simone Milioti

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Simone Milioti
Tags: ATP Finals

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