Cinquantasei minuti di esaltazione per la Muguruza e di frustrazione per la Halep. Questo il succo di una finale prestigiosa nella quale la 23enne spagnola, che in semifinale aveva annientato Karolina Pliskova, numero 1 del mondo, sfoderando lo straordinario talento di cui è dotata travolge la rumena numero 2 del ranking e centra il quinto torneo in carriera, arricchendo un palmares composto prevalentemente da gemme preziose (Premier Mandatory a Pechino nel 2015, Roland Garros nel 2016, Wimbledon e Cincinnati quest’anno) che valgono già una carriera prestigiosissima. La tennista nativa di Caracas, risale al numero 3 del ranking e mette nel mirino la vetta, da cui la separano 530 punti ampiamente recuperabili nello Slam americano che comincerà lunedi prossimo, in cui lo scorso anno non brillò uscendo al secondo turno mentre chi la precede in classifica ha in scadenza punti pesanti: 1300 per la Pliskova finalista e 470 per Halep giunta fino ai quarti.
Per la rumena la corsa alla leadership mondiale sta diventando una maledizione. Dopo aver fallito l’occasione di scalzare dal trono Angelique Kerber prima nella finale del Roland Garros, dove partiva da grande favorita contro la giovanissima Ostapenko, e poi a Wimbledon dove sarebbe stato sufficiente superare la Konta nei quarti, domenica ha fatto una figuraccia contro la Muguruza lasciando agli archivi del torneo la finale più breve della storia a partire dal 1952. Al danno si aggiunge la beffa tenuto conto che la rumena resta in classifica a soli cinque punti dalla Pliskova.
Se la Halep fosse riuscita a vincere il torneo avremmo assistito ad un avvicendamento simultaneo al vertice del ranking ATP e WTA . Rimangono 5 le volte in cui ciò è avvenuto:
Nell’edizione più modesta del torneo che a causa di infortuni/motivi precauzionali in vista degli imminenti US Open ha fatto registrare l’assenza di molti big con conseguente presenza in tabellone di soli tre Top 10 (Nadal, Thiem e Zverev), Grigor Dimitrov (anni 26), il predestinato mancato della generazione 1990-1994 a diventare il successore dei Fab Four, ha finalmente ottenuto un risultato prestigioso vincendo il suo primo torneo Masters 1000, diventando così l’unico esponente della sua generazione ad imporsi in un torneo di tale livello. Finora i migliori risultati erano rappresentati dalle finali di Raonic (classe ’90) a Wimbledon nel 2016 e in precedenza in tre Masters 1000 (Indian Wells 2016, Parigi-Bercy nel 2014 e Montreal nel 2013) e quella di Parigi-Bercy del 2012 in cui approdò a sorpresa il polacco Janowicz (anch’egli classe ’90), all’epoca numero 69 del ranking che, provenendo dalle qualificazioni, si arrese solamente a Ferrer all’ultimo atto.
Dimitrov ha giocato un torneo impeccabile senza perdere un set anche se sul suo cammino ha incontrato una sola testa di serie, in semifinale, rappresentata dall’americano Isner (n.14) sconfitto in due tie break. Infatti nessuno dei tre Top 10 presenti in tabellone è andato oltre i quarti, a Cincinnati non era mai accaduto e l’ultima volta in un Masters 1000 risale al 2006 quando al torneo di Amburgo allora compreso tra i nove Master Series, giunsero in semifinale Stepanek (n.16), Robredo (n.12), Ancic (n.13) e Acasuso (n.30).
Next Generation: questa settimana la miglior performance tra i tennisti nati dal 1996 in poi è dell’americano Donaldson che ottiene così il suo miglior risultato in carriera, che gli consente di salire nel ranking al numero 50 e rientrare per la prima volta tra i potenziali partecipanti alle NextGen Finals di Milano.
E veniamo all’avvicendamento al vertice della classifica mondiale con Nadal che approfitta della sosta ai box di Murray e dell’assenza a Cincinnati di Federer e torna in vetta dopo oltre tre anni. È un risultato straordinario anche se coinciso con una sconfitta bruciante come quella subita nei quarti per mano di un ottimo Kyrgios.
Lo spagnolo torna in vetta alla classifica per la quarta volta in carriera, dopo nove anni e tre mesi dalla prima volta risalente anche allora al termine del torneo di Cincinnati (18 agosto 2008). Trattasi di un nuovo record: Connors, il tre luglio 1983 tornò in vetta dopo otto anni, undici mesi e quattro giorni.
L’eliminazione nei quarti non mette Nadal al sicuro dal rischio di sorpasso da parte di Federer che ha saltato Cincinnati per essere al meglio agli US Open dove partirà con uno svantaggio in classifica di soli 500 punti.
Altri numeri:
5 – I finalisti a Cincinnati non compresi tra le teste di serie.
7 – I successi a Cincinnati di Federer che resta primatista assoluto.
9 – Il nuovo ranking di Dimitrov, che avvicina il suo best ranking (numero 8) e si assicura una testa di serie tra le prime 8 ai prossimi US Open.
14 – Il nuovo ranking del trentaduenneenne Isner che torna numero uno degli Stati Uniti scavalcando Sock.
15 – I tennisti ad aver vinto a Cincinnati almeno una volta dal 1990, quando fu istituita la categoria dei Master Series.
142 – Le settimane da numero 1 di Nadal, settimo in questa speciale classifica alle spalle di Federer (302), Sampras (286), Lendl (270), Connors (268), Djokovic (223), McEnroe (170).
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