Il rientro di Maria Sharapova dalla squalifica di 15 mesi per doping è stato, possiamo dirlo, tutto il contrario di quello che ci si aspettava. A Stoccarda è giunta fino in semifinale, ma da quella partita contro Kristina Mladenovic qualcosa è cambiato. Se quel giorno perse anche per mancanza di tennis nelle gambe, oltre comunque a un’ottima prova della giocatrice francese, tra Madrid e Roma le tre partite giocate sono state molto sofferte e segnate, infine, dall’infortunio alla coscia che l’ha riportata ai box per circa due mesi.
C’era grande attesa per il nuovo rientro, a Stanford, ma ecco che già nel primo match qualcosa non è andato come previsto. Si notava a occhio che la russa faceva tanta fatica contro un’avversaria, Jennifer Brady, che al di là dei tre successi consecutivi all’Australian Open non ha più vinto un match in un tabellone principale del circuito maggiore. Infatti, due giorni dopo, il comunicato che annunciava il forfait: “Ho fatto dei controlli e il medico mi ha detto di non rischiare”. Il problema, come specificato, è all’avambraccio destro. Lo stesso punto che nel 2015 rovinò tutta la seconda parte di stagione: dalla semifinale di Wimbledon, persa contro Serena Williams, Sharapova saltò tutti gli eventi proprio per un problema all’avambraccio sinistro. Tornò in scena a Wuhan, ma si ritirò a inizio terzo set contro Barbora Strycova. Giocò le WTA Finals a Singapore, ma i problemi non erano passati (ricordate l’esultanza al termine del match vinto contro Agnieszka Radwanska? Sguardo quasi incredulo verso il suo angolo, spalle alzate e mani con il palmo rivolto verso l’alto, quasi a chiedersi “ma davvero ce l’ho fatta?”).
Quel torneo finì male, con una semifinale persa contro Petra Kvitova mancando un vantaggio di 5-1 nel secondo set. Poi una off season tribolata, il forfait a Brisbane sempre a causa dell’avambraccio sinistro, gli Australian Open giocati prima dei nuovi forfait in medio Oriente tra Doha e Dubai. Il problema? Sempre quello.
A livello di durata possiamo contare circa 7 mesi lontano dai campi, con sole 2 settimane di tennis in 2 momenti differenti, prima della ben nota vicenda doping. Un infortunio che si pone come secondo in assoluto (per durata) dietro alla spalla, che ha cominciato a colpirla nel 2007, con il risultato di 2 mesi di stop, e che nel 2008 le ha dato la mazzata più importante: 9 mesi fuori, l’intervento chirurgico da dopo Toronto per sistemare una rottura dei tendini della spalla. Il problema si ripresentò anche nel 2013, dove da dopo Wimbledon fino a Brisbane 2014 non ha praticamente più messo piede in campo. Ci fu una fugace apparizione a Cincinnati, quando perse contro Sloane Stephens in 3 set (nell’unica partita con Jimmy Connors al suo fianco) e poi un’altra alle WTA Finals di Istanbul, ma il problema era talmente grande da costringerla al ritiro nel Round Robin. In tutto, altri 5 mesi di infortunio e, praticamente, niente tennis giocato.
Già solo sommando questi problemi fisici si ottengono poco meno di 2 anni di stop (22/23 mesi, a seconda dei giorni esatti che vengono conteggiati). Aggiungendo i 15 mesi di squalifica, il dato sale a 37/38 mesi, dunque già oltre i 3 anni senza competere. A questi, aggiungiamo anche i 4 mesi di stop per una caduta durante il torneo di Tokyo del 2011 che le provocò una distorsione alla caviglia e non le fece rivedere i campi prima dell’Australian Open 2012. Altri 2 mesi di stop per un infortunio alla coscia (da Roma 2017 a Stanford 2017) e 2 mesi per un ematoma al gomito destro, tra Indian Wells 2010 e Madrid 2010. Infine, un mese e mezzo per un’infezione alle orecchie patita tra l’Australian Open 2011 e Indian Wells 2011.
Vi riportiamo tutto in questo elenco che abbiamo preparato:
Il totale è di circa 47 mesi fuori dal campo, l’equivalente di quasi 4 anni, dal 2007 a oggi. Negli ultimi 10 anni, Sharapova ne ha passati quasi la metà senza poter competere, tra infortuni e squalifica per doping. Il dato già così è decisamente elevato, e non tiene conto di altri problemi fisici di minore durata, come il virus allo stomaco che nel 2012 le impedì di prendere parte ai tornei di preparazione in vista dello US Open dopo le Olimpiadi di Londra (non più di 2/3 settimane) o l’infortunio alla gamba patito a fine primo set a Miami 2015, nel match perso contro Daria Gavrilova che non le permise di scendere in campo in Fed Cup a Sochi contro la Germania (anche lì stiamo parlando di 3 settimane). Già solo con questi due esempi, si superano i 4 anni di assenza.
Probabilmente, alla fine, si supereranno i 50 mesi di stop. Nei 5 anni e mezzo in cui ha potuto competere ha disputato 98 tornei (9,8 di media all’anno) vincendone 18, con una media di 1 ogni 5. Soprattutto, ha avuto la forza di rientrare nelle posizioni di vertice, tornando numero 1 al mondo per 3 settimane nel 2012, vincendo 3 volte una prova dello Slam tra cui le 2 affermazioni al Roland Garros che le hanno permesso di diventare la decima tennista nella storia a completare il Career Grand Slam.
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