Non vorremmo abusare della parola “leggenda”, ma per Kimiko Date un’eccezione è quantomai doverosa. La giapponese, rientrata nel circuito nel 2008 a 38 anni dopo essere stata numero 4 del mondo e semifinalista a Wimbledon nei primi anni ’90, ha compiuto una seconda parte di carriera per certi versi ancora più memorabile. I risultati non sono stati gli stessi della precedente, ma riportarsi dentro la top-50 (n.46 a fine 2010) a 40 anni e di nuovo ad un passo dalla top-50 a 43, raggiungere il terzo turno a Wimbledon e all’Australian Open, lottare per oltre 3 ore contro Venus Williams sul palcoscenico che ha consacrato la carriera della statunitense (il Centre Court di Wimbledon, nel 2011, col tetto chiuso), e perdendo solo 6-7 6-3 8-6 quando comunque la carta d’identità indicava i 41 anni, sono segnali importanti che hanno portato l’ammirazione di tanti fan a livelli esagerati.
Oggi, con un comunicato sul suo blog, la giapponese fa sapere che le condizioni fisiche del suo ginocchio, operato nell’agosto 2016 dopo il torneo di Stanford, non le rendono più possibile competere a livelli adatti per il circuito professionistico. Si riserverà un ultimo torneo, per concedersi una passerella di fronte al pubblico di casa: il teatro sarà il torneo WTA International di Tokyo, all’ombra dell’Ariake Coliseum. Aveva provato il nuovo rientro, a inizio maggio, ma al di là delle 4 sconfitte su 4 nei main draw (gli unici successi, 3 di fila, sono arrivati in un tabellone di qualificazioni ad un ITF da 25.000 dollari) ci sono anche da registrare i 2 infortuni patiti e che l’hanno costretta al ritiro sia a Changwon che a Sacramento.
Una seconda parte di carriera che oltre ai bei momenti descritti sopra (e quando perse da Venus Williams aveva anche l’enorme rammarico dell’occasione mancata, segno di una competitività comunque ben presente), le ha dato anche un nuovo titolo WTA, a Seoul nel 2009, e due finali perse: la prima ad Osaka nel 2010 e la seconda a Pune (WTA 125k) nel 2012. Infine, faceva sempre sorridere quando alcune giocatrici come Yulia Putintseva, 25 anni più giovane, si vedevano sconfitte ed esclamavano, quasi sbigottite: “Mi è sembrato di perdere contro mia mamma”. Al di là del nervosismo che poteva provare la kazaka, in quella frase c’era un fondo di verità che ha simpaticamente accompagnato la carriera della giapponese fino alla fine e che a molti appassionati ha fatto più volte strappare l’appellativo di “leggenda”: dopo i 40 anni non è logico che una persona possa competere nel tour. Cambiano gli interessi, il fisico dice “basta”, viaggiare tutto l’anno diventa uno stress enorme. Lei però andrà avanti ancora 3 settimane, fino al compimento dei 47 anni. Icona ed esempio per tanti.
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