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Wimbledon, abbiamo un problema?

Disuguaglianza. Ne abbiamo parlato parecchio durante il torneo di Wimbledon. Vera, presunta, nascosta, fatta passare nell’indifferenza generale. Eppure qualcosa c’è. Due campi principali, Centre Court e Court 1, tre match al giorno su entrambi per un totale di quattro incontri maschili e appena due femminili. Tre campionesse Slam spostate sul Court 2 in occasione del Manic Monday: Angelique Kerber, Garbine Muguruza, Victoria Azarenka. Oltre a loro la giocatrice che stava lottando per diventare numero 1, Simona Halep. Jelena Ostapenko, vincitrice al Roland Garros, nei primi 4 turni ha giocato: sul Court 18, sul Court 12, sul Court 3, di nuovo sul Court 12. “Sono una campionessa Slam, merito più rispetto e campi più importanti” diceva dopo la vittoria contro Elina Svitolina negli ottavi. La rabbia della lettone era dovuta anche a quello che era successo nei primi due turni: programmata come ultimo match, ha sempre avuto a che fare con lunghi ritardi dovuti a match maschili che rovinavano il programma e nel giorno del suo esordio aveva ricevuto notizia che il suo incontro era stato spostato. Dove? Nessuno gliel’ha comunicato fino a poco prima delle 8 di sera. Poteva benissimo andare sul Centre Court, con il programma appena finito, invece la spedirono sul 18, campo che tra l’altro ha pure due pareti laterali piuttosto alte e con il tramonto in arrivo la visibilità cala anche prima del previsto. Ostapenko è una piuttosto diretta e non ha timore di dire quello che pensa. Un po’ come il suo tennis: se vede uno spazio, anche minuscolo, lei attacca lì.

Avevamo raccontato dei problemi causati dal Manic Monday, non avevamo però riportato quello che Andy Murray aveva dichiarato a proposito: “Penso che tutto ciò non sia giusto nei confronti delle donne”. Lo scozzese, sconfitto poi nei quarti da Sam Querrey, ha dimostrato ancora una volta che questa empatia verso il genere femminile non è dettata da alcuna forma di opportunismo beccando il giornalista che aveva accennato al tennista californiano come il primo statunitense in semifinale dal 2009 e chiarendo “il primo tennista maschio” con testa bassa e senza voglia di farsi notare per l’ennesima puntualizzazione. Già a Rio de Janeiro, vinto l’oro olimpico, corresse il giornalista che gli disse di essere il primo tennista ad aver vinto due ori consecutivi: “Penso che le Williams avrebbero qualcosa da dire in merito”.

Ora però guardiamo oltre: Wimbledon non è al centro della polemica solo per l’organizzazione dei suoi incontri, ma anche per un altro primato particolare. È l’unico torneo Slam che ancora non ha ammesso arbitri femminili a dirigere partite del torneo maschile nella seconda settimana, dunque neppure la finale, vincolo ormai sdoganato dagli altri 3 (Australian Open, Roland Garros, US Open). Non vale, ovviamente, il contrario: sono diversi, infatti, gli arbitri maschili che arbitrano gli incontri femminili anche per una questione di rapporto (2 a 1). Questo divieto, comunque, è inspiegabile. Il parco-arbitri femminile ha la fortuna di avere almeno due persone che godono di enorme, imperitura stima da parte di tutti: Eva Asderaki Moore e Marija Cicak. Non si vuole neppure esagerare se si dice che sono probabilmente superiori, per carattere e professionalità, a tanti arbitri della controparte maschile. Come dimenticare lo US Open 2015? Ebbene, Asderaki Moore e Cicak furono le vere protagoniste di quelle due finali. Per la prima volta un torneo dello Slam apriva le porte di entrambe le finali a due arbitri donna e se Cicak arbitrò un match molto tranquillo tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci, Asderaki Moore ebbe una bella gatta da pelare con Novak Djokovic e Roger Federer in un’atmosfera molto pesante, con tutto lo stadio pronto ad accendersi quando lo svizzero si aggiudicava punti importanti e con il serbo pronto a scaldarsi quando c’erano situazioni al limite. Eppure, Eva meritò il simbolico premio di MVP compiendo 5 overrule perfetti. Cicak, nel frattempo, era seduta in mezzo ai fotografi, vicino alla torretta dell’arbitro, in segno di amicizia verso la collega, e rideva. Disse poi: “Eva fu straordinaria”. Un mese dopo quella finale, uno dei più forti tennisti maschi in attività andò da lei e le fece i complimenti per come tenne la situazione sotto controllo.

Lo US Open fu l’ultimo, in ordine di tempo. Il primo in assoluto fu l’Australian Open, dieci anni fa. Era il 2007 e Sandra de Jenken arbitrò sia la finale maschile a Melbourne che, pochi mesi dopo, quella del Roland Garros. Se oggi abbiamo Cicak e Asderaki Moore, allora avevamo de Jenken e Lynn Welsh, oltre a Alison Lang (15 finali Slam dirette in carriera) che però ora sta trascorrendo più tempo lontana dai campi, e già si vedono i prossimi cambi visto come Marjana Veljovic e Tamara Vrhonec, ma anche Julie Kjendile, stanno lavorando nonostante la pochissima esperienza. Vrhonec, soprattutto, fu la giudice di sedia del nervosissimo match tra Alizé Cornet e Tatjana Maria del Roland Garros 2016, finito con quest ultima che voleva fare causa a chiunque. Ebbene, noi di Oktennis avevamo successivamente analizzato il terzo set e non c’è stata una sola infrazione del regolamento da parte della francese: ergo, ottima direzione da parte del giudice di sedia. Veljovic ha appena 30 anni e già è tra le punte di diamante della squadra femminile: corretta, chiara, decisa con ogni giocatore o giocatrice. Di contro, non si può dire lo stesso per la classe maschile, alle volte apparsa molto più permissiva e succube dei giocatori. L’esempio forse più opportuno è quanto avvenne nel 2016 a Montpellier un giudice di sedia si sentì rivolgere da Alexander Zverev, furioso: “You fucking moron” (per la traduzione fate voi). Neanche un warning, quando da regolamento c’era la squalifica.

A maggior ragione stona la scelta di Wimbledon di non affidare alcun match maschile ad arbitri femmine. “La differenza tra arbitro uomo e donna non esiste: non c’è motivo per cui una donna non possa arbitrare un match maschile” ci ha raccontato una collega statunitense, riprendendo in parte quello che Asderaki Moore disse due anni fa: “Alla fine noi siamo sempre arbitri, uomini o donne. L’importante è svolgere bene il nostro lavoro, che è quello che conta per i giocatori”. Forse alle persone non piace quello che non è familiare, motivo per cui un torneo che fa della tradizione un suo dogma non ammette cambiamenti così importanti. Welsh, a tale proposito, anni fa dichiarava: “Quando mi sceglievano per un match maschile, soprattutto nei primi anni, avevo enorme pressione addosso. Se fallisco, tutti diranno che non sono in grado di farcela. Dopo un po’ però ho cominciato a vederlo come enorme stimolo: non ero sola, sentivo che lo stavo facendo per tutte le donne”.

Dei 127 match maschili dello US Open 2015, ben 41 furono arbitrati da donne: è il 32% del totale, cifra ottima se si considera che in quell’edizione dei 19 arbitri con il golden badge (il massimo nella scala di valori di un arbitro) solo 5 erano donne (il 26%). Bruce Litterl, capo degli arbitri a Flushing Meadows, disse in un’intervista a USA Today: “Dobbiamo solo essere fieri di poter presentare un arbitro femminile ad una finale maschile. Eva è straordinaria e si è meritata quel posto dopo 3 anni in cui era tra le preselezionate per quella partita. In termini di abilità, ha diretto tanti match maschili e non ha nulla da invidiare a nessuno, mai una volta in cui è stata in difficoltà. La USTA con questa scelta (di affidare entrambe le finali a due arbitri donna, nda) si è mostrata leader nella diversità, ma nessun aiuto: tutto è basato sulle abilità delle persone e Eva è la migliore al mondo”.

La stessa Asderaki Moore fu anche la prima donna nella storia ad arbitrare, proprio a Wimbledon, una finale maschile. In doppio, ovviamente. Era il 2012, la partita vide Johnathan Marray e Friederik Nielsen imporsi 6-3 al quinto set su Horia Tecau e Robert Lindstedt. L’ha seguita Veljovic quest anno, con la direzione della finale di doppio misto tra Jamie Murray e Martina Hingis contro Henri Kontinen e Heather Watson.

Per molti appassionati, invece, Cicak è considerata una macchina infallibile. Su YouTube potete trovare un video di 8 minuti della sfida tra Maria Sharapova e Daria Gavrilova a Roma, nel 2015. Non sono highlights delle giocate più belle, ma di ogni volta in cui la croata venne chiamata per verificare una chiamata. Indovinate un po’? Zero errori in 8 minuti di video. Ci fu un’occasione, lo scorso anno, in cui fece un errore nella chiamata del punteggio e quasi in simultanea, su Twitter, tanti reagirono con frasi di stupore: “Allora è vero, allora è umana anche lei”.

I rapporti con i giocatori non sono sempre stati idilliaci, con Toni Nadal a parlare di un “problema avuto con un arbitro donna” e si riferiva a Mariana Alves quando nell’Australian Open 2014 diede due warning per perdita di tempo al nipote, o David Ferrer che allo US Open 2008 urlò ogni genere di insulto durante un cambio campo e si sentì ricevere un warning da Kerrilyn Cramer per poi ribattere: “Tu sei una donna, tu non hai il diritto di fare nulla”. La stessa Alves che ancora oggi in molti ricordano per i problemi avuti con Serena Williams allo US Open 2004, nel match contro Jennifer Capriati. Quello che non sanno è che lei non avrebbe dovuto arbitrare quel match, ma fu messa lì perché 3 arbitri con golden badge furono espulsi in quei giorni dallo US Open dopo la notizia che avevano falsificato gli accrediti per le Olimpiadi di Atene. Si erano creati dei buchi e lei, con pochissima esperienza nei match di cartello e con ancora un semplice silver badge, fu scelta per arbitrare match fin dalle prime ore del giorno fino a quell’incontro che fece andare su tutte le furie la ex numero 1 del mondo e si decise, da lì, per l’intervento della moviola in campo. Successero altri problemi con la USTA, ma ancora oggi né Alves né altri arbitri vogliono raccontare cosa avvenne in quei giorni. Tredici anni dopo, Mariana ha anche lei un golden badge (preso nel 2008, una delle 9 donne in attività) e diretto la finale del singolare di Wimbledon (femminile) 2010.

È vero che seppure Wimbledon non abbia ancora permesso ad una donna di arbitrare un match della seconda settimana del torneo di singolare maschile gli altri 3 Slam al momento hanno avuto solo una finale maschile (dal 2007 a oggi) diretta da una donna, è vero anche però che gli altri hanno avuto il coraggio di spezzare l’egemonia e che i numeri sono in sensibile ma interessante aumento. Dalle parti di Church Road, invece, tutto tace.

Diego Barbiani

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