[Q] A. Rublev b. [Q] S. Travaglia 6-7(3) 6-3 7-5 1-6 7-5
Da uno dei campi della Cartiera di Ascoli Piceno al numero 15 di Wimbledon. Detta così, sembrerebbe un sogno, ma è la splendida realtà che ha accompagnato in questo pomeriggio londinese Stefano Travaglia, marchigiano doc, issatosi per la prima volta nella sua carriera nel main draw di uno Slam grazie a tre turni di qualificazione. E al marchigiano è piaciuto molto quel campo in erba. Al punto che c’è rimasto tre ore e ventisette minuti, lottando come un pazzo su ogni palla per cinque lunghi set. Alla fine ha dovuto dire basta, al dodicesimo gioco, perdendolo a 15 e lasciando quel campo che in gioventù ha sempre sognato e che oggi, nonostante la sconfitta, ha toccato con mano, anzi con le bianche speciali suole, con la speranza che sia stata soltanto la prima di tante volte. Dall’altra parte, un altro giocatore proveniente dalle qualificazioni, il russo Andrey Rublev, si è portato a casa il match e alla sua quarta partecipazione in un tabellone dello Slam (la prima a Wimbledon), ha raggiunto, come in Australia, il secondo turno: 6/7 6/3 7/5 1/6 7/5 il punteggio finale di una sfida a “fisarmonica”, con Travaglia avanti dopo aver recuperato un break nel primo set e, poi, pronto a rincorrere il suo avversario e ad agganciarlo complice un quarto set davvero speciale ed unico per lui. Nel quinto, con Rublev avanti 3-1 e servizio, l’ascolano trovava modo e tempo per rientrare in partita, per restare in scia al suo avversario, per giocarsi sino in fondo le proprie chances, volate via al dodicesimo gioco, dopo una lotta incredibile. Bravo comunque, perchè in fondo al tunnel di una storia contrassegnata da tanti, troppi infortuni, Travaglia ha trovato il “Tempio”, quell’All England Club che, in gioventù, ammirava in tv nella saletta del suo circolo di Ascoli. E chissà che dalla Cantiera non sia partit un treno. Con un prezioso biglietto di sola andata in tasca. Verso quel mondo da esplorare e domare. Come ha fatto in questi giorni londinesi. Sognando un posto al sole, speciale come il numero 15 di Wimbledon.
Pironkova b. Errani 6-1 6-4
C’era una volta Sara Errani. Duole dirlo, ma sembrerebbe proprio così. Cinque anni fa, andava in finale al Roland Garros. Oggi non ne imbrocca più una e nel tardo pomeriggio londinese, alla sua decima apparizione a Wimbledon, eccola uscir fuori al primo turno per mano della bulgara Pironkova, che da queste parti ha raggiunto una semifinale sette anni orsono, ma che oggi non è certo quel fulmine di guerra contro il quale non si può vincere o, nella peggiore delle ipotesi, provare a fare match pari. Sara, invece, ha cominciato ad addomesticare la “gialla” Slazenger soltanto a metà del secondo set, dopo aver fatto la comparsa, o poco più, nel primo. Ha annullato un break di svantaggio e si è messa in scia alla sua avversaria sino al decimo gioco del secondo, quando al secondo matchpoint ha alzato bandiera bianca: 6/1 6/4 in un’ora e otto minuti di gioco. Poco più di un allenamento, insomma, per una tennista, la nostrana, che da queste parti, almeno in singolare, non ha mai fatto tanta strada (due volte il terzo turno nel 2010 e 2012), ma che in doppio, con Roberta Vinci, nel 2014, coronò il sogno di vincere e di completare lo Slam a distanza. Altra storia, nemmeno così remota, ma pur sempre racchiusa in quei libri che oggi sembrano davvero pieni, anche troppo, di polvere. Sara Errani non è più la giocatrice di qualche anno fa. Sembra non avere più fame, quella voglia, insomma, di lottare contro tutto e tutti, di far valere i centimetri della cattiveria agonistica, sepolta da un qualcosa che, da due anni a questa parte, l’ha portata lontana anni luce dal tennis che le è sempre appartenuto. La Pironkova, oggi, ha fatto lo stretto necessario, il suo compitino insomma. Si è appoggiata suai tanti, troppi errori della sua avversaria e alla fine le ha stretto la mano ringraziandola per così tanta grazia. Fuori al primo turno qui a Wimbledon dopo i secondi turni collezionati in Australia e al Roland Garros. Non ci siamo ed è un peccato sottolinearlo. Per noi che l’abbiamo vista brillare e per lei che, giustamente, qualche interrogativo se lo starà ponendo.
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