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Onore a Federer, ma che brutto Wimbledon!

Otto volte Federer… Se non finissimo una pagina solo a ripeterlo verrebbe da farne un’eco come Martellini nell’82.

Guardando alle 2 settimane appena trascorse pare quasi di aver assistito al passaggio di un treno che un po’ tutti stavano aspettando, e che in fondo forse il tennis stava quasi desiderando da 5 anni. Da quel Luglio del 2012 in cui Roger faceva piangere (nuovamente) Andy Murray relegandolo di nuovo a suddito scozzese tutti hanno atteso che l’uomo dei record aggiungesse un nuovo tassello alla sua infinita carriera, quello forse più importante di tutti, quel numero 8 al quale nessuno era mai arrivato. Non sarà un caso poi che quel record sia arrivato un mese dopo l’altra impresa di 10 Roland Garros dello storico rivale, quel Nadal che in questo torneo si è perso per strada lasciando fama e gloria a Federer, quasi come se anche lui non volesse ostacolare il destino.

Fa da contraltare alla bellezza dell’impresa di un ragazzo che a quasi 36 anni ha trovato per la milionesima volta la forza di rimettersi in gioco e crederci, un torneo che ha deluso molto le aspettative. Lasciando perdere una finale maschile giocata, dopo il primo set, da Cilic quasi per onor di firma, quello che resta di questi 14 giorni non è un evento che passerà alla storia per spunti tecnici. Nel femminile si è ancora una volta notato come l’assenza di Serena pesi come un macigno sul tennis in gonnella. Partite maratona ci hanno riportato almeno a vivere un tennis appassionante, malgrado il gioco espresso sia sempre lo stesso chiunque impugni la racchetta.

A tutto poi aggiungiamo magari come ventata di “magia” la scalata verso la finale di Venus (a testimoniare però quanto il movimento anche tra le signore viaggi in salute), spentasi sul più bello davanti a Garbine Muguruza, la quale ha fatto dimenticare alla Spagna le pene sofferta dal toro di Manacor. Le sorprese non sono mancate, come la Konta che raggiunge la semifinale, ma al contrario del maschile sembrano più una conseguenza del caos regnante che segno di un vero cambiamento o di rinascita di un gioco diverso. Beffa al danno: come numero uno del mondo una tennista che esce al secondo turno, senza nulla togliere ai meriti (o in questo caso demeriti) della Plyskova.

Nel maschile invece a parte l’exploit di Gilles Muller in quello che è in assoluto stato il match più appassionante del torneo, poche altre sono state le emozioni, se si fa eccezione per gli infortuni vissuti dai due che dominavano il tennis fino a qualche mese fa, ovvero Murray e Djokovic.

Campi lenti come colla e rovinati dopo tre giorni hanno reso il gioco forse persino più monotono di altre edizioni. Tanto spin, rimbalzi alti, clima arido come a Ibiza (soprattutto nella prima settimana); come Nadal abbia perso questo torneo resterà il quarto mistero di Fatima a pensarci bene… Lo stesso Federer, che tanto spesso aveva offerto, persino nelle edizioni nelle quali era uscito battuto, almeno un match ricolmo di magia, si è intrattenuto a fondo campo molto più del solito, puntando più sulla concentrazione che sulla varietà vera e propria. Magari di magia non ne avrà avuto nemmeno bisogno, visto che tutti gli avversari incontrati sul suo cammino venivano non certo da periodi di forma entusiasmanti.

Il gioiello sarebbe potuto essere la finale, ma purtroppo quel Cilic versione US Open 2014 visto in tutto il torneo è sparito sotto una vescica e l’ultima vittoria si è limitata a essere ordinaria amministrazione.

Sono mancate le sorprese ai primi turni, così tipiche di Wimbledon e per quanto bene si possa volere a Querrey e a Berdych (ammirevolissimo il loro torneo, col ceco che forse ha giocato la sua miglior partita dal 2010 contro Federer) la loro presenza in semifinale non può essere presa come una ventata di freschezza nel circuito, bensì come la conseguenza di come numero 1 e 2 del mondo si siano distrutti fisicamente e mentalmente negli ultimi anni per arrivare lassù dove i Federer e i Nadal paiono poter volare anche solo a velocità di crociera, al di là del tempo che ticchetta, con una mirata programmazione.

I giovani come purtroppo sempre accade negli slam sono spariti; Zverev (probabilmente con la mente ancora a Roma a strafogarsi di carbonara) è uscito contro Raonic (non certo anch’egli ai livelli della finale della passata edizione), Dimitrov si è sciolto come sempre davanti al vero Federer, Kyrgios ai box per l’anca, Thiem battuto dal redivivo Berdych.

Insomma, a parte il solito infinito, irreale, magico Roger, che si porta a casa un altro slam e ferma il tempo come in Australia, ci resta ben poco di queste due settimane.
La speranza è che almeno nell’organizzazione Wimbledon riscopra il suo perché, anche per tornare ad avere una voce sua, come era in passato, accanto a quella tradizione che si porta ancora dietro.

Francamente suona male descrivere come deludente un torneo vinto da uno come Federer. E non vogliamo togliere niente alla brava Muguruza. Ma dopo il tennis visto a Halle e al Queens’ in effetti tutti a Londra sono rimasti un po’ con l’amaro in bocca. Speriamo che l’anno prossimo ci ridia una ventata di novità nel gioco…

Davide Bencini

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