[3] R. Federer b. [6] M. Raonic 6-4 6-2 7-6(4)
Perché c’è un tempo per tutto, anche per vendicarsi.
C’è un tempo in cui tutto va male, cadi a terra sulla tua superficie preferita e non puoi farci niente. Dall’altra parte c’è un gigante con la faccia da bambino paffutello, i capelli perfettamente a posto e le prime a 230 chilometri orari.
Ti rialzi, sei andato vicino a non cadere, ma sai che da quella caduta non puoi rialzarti.
Sai che da lì in poi c’è tempo per riposare. È tempo anche per te di prendere le distanze, guardarti da lontano, lasciare che le cose vadano a posto da sole.
Esattamente un anno fa, questo era il tempo in cui Federer avrebbe giocato l’ultima partita della sua stagione, rinunciando alle agognate olimpiadi a Rio a cui aveva puntato.
Il tempo passò lento ma non invano.
Un anno dopo, Federer ritrova Raonic e senza ammetterlo fa un ghigno guardandolo che solo i cannibali in campo come lui sono in grado di fare, sentire, lasciar intendere.
La lezione che oggi Roger Federer ha dato al canadese è di quelle sadiche e puntuali: tutto quello che nei giorni scorsi non aveva funzionato per lo svizzero inizia ad ingranare, servizio soprattutto ma anche una serie di dritti non più troppo liftati ma scagliati con una violenza e una precisione da lasciare basiti il pubblico di Wimbledon che dopo aver perso Murray, Nadal e Djokovic si è voltato verso di lui e ha iniziato ad adorarlo anche più del solito.
Milos non si è arreso alla sorte e nel terzo set ha avuto grandi chance grazie a un gioco più solido e a qualche leggerezza del suo più anzianotto avversario; su quella risposta al tie-break, nel momento in cui era sotto, il boato del Centre Court e l’invocazione al loro Dio ha infiammato Roger ancora più dei suoi sentimenti di rivalsa.
La dodicesima semifinale raggiunta a Wimbledon Federer l’accompagna con un balzo e un urlo verso il suo angolo, oggi parecchio partecipativo.
Il tempo pare maturo, l’occasione è lì, a due match. Non ci sono gli altri tre.
Cilic, Berdych e Querrey. Ma non è questo il tempo di pensare.
Che a pensare arriva tutta insieme la pressione e la paura di non farcela.
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