La Federer mania è sempre più straripante, e Wimbledon non sembra essere il punto di arrivo. Con questa strepitosa prima metà di 2017, la celebrazione del neo “rivincitore” dei Championships si sta consumando sulla falsariga di quanto successe sei mesi fa e per i successivi sessanta giorni, quando l’elvetico si permise un triplete tanto meritato quanto inaspettato: Melbourne, Indian Wells, Miami.
L’amore per il quasi trentaseienne di Basilea, si sa, al di là dei successi, è legato soprattutto alla grazia con cui sfoggia il proprio tennis e l’eleganza che lo accompagna in ogni occasione tennistica e non (chi l’avrebbe mai detto guardando le immagini del Roger 1.0, la versione pre-2004 tra coda di cavallo e capelli ossigenati), senza dimenticare diplomazia e signorilità. All’interno del rettangolo di gioco, una delle principali artefici dell’immagine impeccabile dello svizzero è stata naturalmente la Nike, eterna compagna di avventura (insieme alla Wilson) di una carriera fino ad ora leggendaria e creatrice di alcuni dei più begli outfit tennistici delle ultime decadi.
Con la linea “RF” (nata 10 anni orsono), la multinazionale dell’Oregon ha suggellato il proprio dominio sulla scena commerciale in ambito tennistico. I ricavi sono sempre stati il fiore all’occhiello di questa partnership (che garantisce a Re Roger oltre 10 milioni di dollari annuali), anche nei periodi più bui 36enne di Basilea: basti pensare come sovente, negli stand del “baffo” presenti nei vari eventi del circuito, gli articoli più venduti siano proprio i cappellini con le iniziali del campione elvetico, a volte esauriti prima della fine del torneo (successe anche al Foro Italico nel 2012). Ma, parafrasando Jovanotti, non avevamo visto ancora niente.
Ad inizio anno, in quel di Melbourne, Federer si presenta con un completino ben lontano dal suo abituale stile: maglia bianca con colletto alla coreana e particolarissimo pattern grafico nero. Nonostante un dibattito condito da critiche e ironia, c’è stato chi, pur di vederlo rivincere dopo cinque anni una prova dello Slam, avrebbe deciso di acquistarla in caso di trofeo sollevato, quasi come fosse un fioretto. La non convenzionalità di quella polo con colletto alla coreana ha fatto il suo; lo svizzero, con il diciottesimo successo in un Major ha fatto il resto: la “maglietta brutta” è diventata un’autentica icona della moda tennistica. Nelle ore immediatamente successive alla vittoria su Nadal, l’articolo (insieme alla t-shirt celebrativa dei 18 trionfi) è andato letteralmente a ruba, totalmente esaurito negli store online dei maggiori rivenditori specializzati del globo e persino della stessa Nike, che non la rimetterà in vendita. Chissà cosa sarebbe successo se avesse vinto lo spagnolo, di sicuro oggi quella polo è un pezzo da collezione semi introvabile se non a prezzi esorbitanti.
Pochi mesi dopo, stessa sorte con la maglietta che ha accompagnato l’otto volte campione di Wimbledon nel doppio trionfo primaverile sul cemento americano. Rispetto all’Australia cambia solo il colore principale: dal bianco si passa ad un verde acceso che probabilmente la rende più appetibile della precedente. Fino ad arrivare al completo bianco (come tradizione vuole) dei Championships appena conclusi: molto più elegante dei suoi predecessori, ma allo stesso tempo molto minimal e privo di dettagli che non fossero il consueto logo personale di FedExpress: nessuna creazione particolare rispetto alle edizioni precedenti che potesse giustificare i 71 euro della maglia e i 66 del pantaloncino. Poco importa, con questo outfit Roger ha di nuovo riscritto la storia del nostro sport. Risultato: anche la maglia del diciannovesimo Slam è diventata roba per pochi.
Ci sono eventi che passano alla storia e la cambiano in maniera indelebile e, sentimentalismi a parte, nell’era del consumismo questi vengono spesso celebrati con acquisti commemorativi. È successo il giorno dell’addio di Francesco Totti, quando il primo rifornimento delle nuove maglie giallorosse con il numero 10 (strategicamente presentate alla vigilia dell’ultima del Pupone) è stato prosciugato in un amen; sta succedendo da Gennaio ad oggi con i successi di Sua Maestà, ora a tutti gli effetti parte di quella ristrettissima cerchia di “divinità” con le chiavi per accedere all’Olimpo dello sport. In attesa di eventuali ulteriori imprese che rafforzerebbero il suo status già leggendario, l’azienda dello “swoosh” si gode record di vendite e incassi da capogiro, nella speranza (dettata soprattutto da ragioni patrimoniali) che quello di Church Road non sia l’ultimo acuto di un’artista senza eguali.
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