Wimbledon

Djokovic, Wimbledon e la fame da ritrovare

Si fanno tante di quelle chiacchiere da un anno a questa parte, su Novak.
Da quel terzo turno contro Sam Querrey e la fine di una cavalcata che sembrava infinita, inarrestabile. Invece il tennis ricorda sempre a tutti come niente è immutabile e le cose, specie nello sport, possono cambiare così in fretta da lasciarti spaesato, perché non capisci quello che è successo come sia successo.

Sono passati dodici mesi e sono tanti ed è cambiato così tanto che pure Djokovic pare esserlo: oltre che sul campo, dove fin qui non ha avuto problemi, nemmeno oggi contro il malcapitato Pavlasek -che per chi non ricorda è l’ex ragazzino sedicenne ceco che stava con una Kvitova più matura di lui- , perché le differenze a volte sono così tante che i cambiamenti non ce la fanno a superarle, soprattutto fuori dal campo.

Sorride Nole perché vuole essere una persona migliore, così dice: secondo Goran Ivanisevic i suoi problemi sono mentali e bisogna chiederlo a lui, secondo il suo capitano di Davis il tennis non è più la priorità, secondo tutti potrebbe essersi avvicinato troppo a un modo di pensare esoterico, filosofico, qualcosa che per il tennis e lo sport non va esattamente bene.

Il fatto è che però a Novak giocare a tennis piace e piacerà sempre: le idee oggi saranno un po’ confuse rispetto a quando voleva diventare numero uno a tutti i costi, gli affari personali saranno più complicati e maturi, le motivazioni sono calate però il rovescio è quello lì, l’elasticità pure e tutto sommato Djokovic a South West 19 ha vinto tre volte. Due battendo un certo Roger Federer, back to back.

Agassi e Ancic, sugli spalti, pronti a dargli consigli e a spingerlo ancora verso il successo, lo sanno. Sanno di cosa è capace e sanno anche che la fame può andare via, poi però torna e quando lo fa non guarda in faccia niente.

Rossana Capobianco

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