Eccola qui l’Ottava Meraviglia. Le braccia sollevate dopo aver battuto ancora una volta la Storia, l’aria incredula di chi si chiede come sia stato possibile, un’ombra di commozione quando mamma Mirka dà il via libera e il box del Centre Court si riempie di tate e di gemelli, le bimbe che sanno già come ci si comporta, i bimbi che invece fanno smorfie e boccacce al mondo intero. Tutta la sterminata famiglia del tennista marziano, l’Ufo più umano che vi sia. Lui saluta da lontano, «Mi siete indispensabili» dirà poco dopo. Eccola qui, la Storia irraggiungibile, l’ottavo titolo dei Championships. Sono occorsi cento quarant’anni per assemblare l’impresa, ovvio chiedersi quanti ne passeranno prima che qualcuno possa batterlo, o soltanto appaiarlo. Eccolo qui il diciannovesimo Slam, la vittoria numero 93 nei tornei, la ventinovesima finale di un Major, la centoduesima partita giocata su questi prati, il novantunesimo match vinto.
Ha trentacinque anni, trentasei fra venti giorni. Ma come fa? La risposta ce l’ha Panatta: «Il tennis è uno sport senza età, e Federer è il tennis». Ma è davvero ormai solo tennis, quello di Federer, oppure possiamo azzardare a dire che forse quello di cui stiamo parlando è il più grande non solo in questo, ma nello sport in generale? Non c’è stata la finale aspra che si pensava. La verità è che non c’è stata la finale. Di fronte alla Storia, Marin Cilic si è sciolto. Non gli ha funzionato il servizio, e quando accade Cilic si trasforma in un campione a intermittenza, si spegne e si accende come le luci di Natale. Poi ha smesso di funzionare anche il resto. Federer gli ha concesso una sola palla break, sull’uno pari del primo set. Svanita quella, Roger ha preso il comando delle operazioni, ha tenuto a distanza il croato, ha arpionato i break quasi andasse a pesca in piscina, uno via l’altro a colpo sicuro. Due nel primo, due nel secondo, uno nel terzo quando Marin ha cercato di opporre maggiore resistenza.
Sul tre a zero del secondo set, Cilic ha avuto una crisi di pianto. Aveva un problema al piede, ma è sembrato di poco conto. Aveva, più grave, un serio problema di frustrazione. Capita quando la chance più grande arriva contro un tennista che non fa una piega, che si muove meglio, che intuisce quello che stai per fare ed è già lì, pronto a ribattere. Uno che a quasi 36 anni corre con l’entusiasmo e l’agilità di un ventenne. È l’anno dei miracoli. Vi sono spiegazioni di tutti i tipi, per comprendere ciò che sta accadendo, più una, che spiega tutto e niente, ma mette tutti d’accordo: Federer e Nadal, superati i guasti fisici e recuperata la forma, si sono dimostrati di un’altra categoria. Roger in questo 2017 ha vinto 31 match perdendone appena 2 (ed entrambi con il match point), e dove lui non ha partecipato, è stato Rafa a mettere tutti d’accordo. Australian Open, Indian Wells, Miami, Halle e Wimbledon da una parte; Monte-Carlo, Barcellona, Madrid e Roland Garros dall’altra. Solo un grande torneo è sgattaiolato da questa morsa implacabile, Roma, ed è andato a Zverev, primo fra i predestinati.
È l’anno dei dieci titoli di Nadal nel Principauté, a Barcellona, a Parigi, degli otto titoli di Federer a Wimbledon, dei diciannove Slam dell’uno e dei quindici dell’altro. È l’anno della Storia. Ha fatto bene Roger a saltare Parigi, contro quel Nadal non ce l’avrebbe fatta. Nelle altre occasioni, Rafa ci ha provato e Federer lo ha respinto. La lotta per il numero uno sembra fra loro due, anche se Murray resterà in vetta dopo questi Championships. Una manciata di punti. Si va in America, fra quaranta giorni sarà tempo di Us Open. Un pensiero al ventesimo Slam? Tranquilli, Roger lo sta già facendo e viste le condizioni di Djokovic (sta meditando se fermarsi) e Murray (problema all’anca e possibile sosta anche per lui) è probabile che la disputa veda ancora Federer e Nadal di fronte. I “Fedal”, quasi una ditta ormai. Con i profitti alle stelle.
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