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Barty, quando il ritiro è un passo avanti necessario

“Tick tock, on the clock, but the Barty don’t stop” è il simpatico coretto che cantavano gli australiani a Melbourne Park, dove la carriera di Ashleigh Barty è rinata dopo il rientro avvenuto a gennaio 2016. In quel periodo diputò i primi tornei ITF in doppio, prima di rientrare anche in singolare ad inizio giugno, solo però per 3 tornei (su erba, la superficie che la mise in luce nel 2011 grazie al successo a Wimbledon junior e che oggi la vedrà disputare la finale più importante della carriera a Birmingham, contro Petra Kvitova). Si sentì parlare tanto di lei ai playoff degli Australian Open 2012, quando vinse la wild-card per il tabellone principale dello Slam, cominciando a convivere con l’etichetta scomoda della predestinata fino al ritiro datato ottobre 2014.

Quanti sono i casi di persone cresciute con queste pressioni, logorate prima ancora che potessero esprimere il loro vero potenziale? Innumerevoli. Barty, però, ha fatto una scelta diversa, stanca di navigare ben lontano da lì dove risiedevano i suoi sogni. Ad inizio ottobre del 2014, nello stesso giorno in cui Na Li annunciava il ritiro dal tennis da bi-campionessa Slam ed ex numero 2 del mondo, Barty comunicava la sua scelta di prendersi una pausa a tempo indeterminato. Tante volte, passare da “pausa a tempo indeteminato” a “ritiro completo” ci vuole un nulla, in altre situazioni sono proprio dei ritiri mascherati. Maria Kirilenko, ad esempio, risulta ancora una giocatrice in attività pur non avendo più classifica ormai da 2 anni, dopo essere diventata mamma e non avendo più mostrato interesse verso lo sport che l’aveva portata ad essere una top-10 non più tardi del 2012. Nadia Petrova, medaglia di bronzo a Pechino 2008 e vincitrice di 13 titoli WTA, ha perso la mamma a fine del 2013 e questo l’ha segnata tantissimo, da non portarla più a scendere in campo comunicando solo nel settembre del 2014 di aver deciso per una pausa dal tennis, pochi mesi fa ha annunciato la scelta definitiva di non voler più tornare in campo anche se le speranze erano ormai sparite da tempo.

C’è invece chi è rientrata nel circuito ed ha avuto ancor più fortuna di prima. Timea Bacsinszky, che ha deciso di ritirarsi quando il best ranking raggiunto recitava 36, con tanti infortuni alle spalle ed enormi problemi familiari, un giorno,un po’ dal nulla, ha deciso di volerci riprovare. Come ci ha rivelato nell’intervista fatta ad Indian Wells ormai un paio d’anni fa, ha chiuso i rapporti con il padre dicendo: “gli ho detto basta, di uscire dalla mia vita, di non cercarmi mai più”. Nel momento in cui ha abbandonato al tennis, si è data alla ristorazione prima di decidere nel salto “all’indietro. È partita in macchina da Losanna, nel 2013, per raggiungere Parigi, 2 anni dopo proprio al Roland Garros c’entrava la prima semifinale Slam in carriera, ad ottobre la top-10.

Un altro esempio è Anastasija Sevastova, giocatrice lettone dal tennis vario ma molto leggero. Lei si ritirò nel 2013, a febbraio, prima di rientrare nel 2015 e ricominciare da zero. Tempo un anno ed era già vicina alle 150, a fine 2016 si è fermata a ridosso delle prime 30. A New York il capolavoro con le vittorie su Garbine Muguruza e Johanna Konta e l’approdo ai quarti di finale, cosa che ad una lettone non capitava da Wimbledon 1994, mentre quest anno c’è la semifinale a Madrid ed ora la finale a Maiorca con il best ranking dentro le prime 20.

Barty ha speso il 2015 giocando a cricket, prima di dirsi di riprovarci una volta in cui le acque attorno a lei si erano placate e l’amore per il tennis era tornato tale da non pensare ad altro mattina e sera. Non una dotata di molta attezza, ma di un ottimo movimento al servizio con cui genera tanta velocità oltre alle doti tecniche migliorate in doppio dove forma una coppia di altissimo livello con Casey Dellacqua, già a Brisbane nel primo torneo del suo 2017 ha nettamente superato Aleksandra Krunic prima di giocare un match di altissimo livello contro Angelique Kerber, risultando la migliore in campo per circa due set e cedendo solo alla distanza alla numero 1 del mondo.

L’Australian Open è stato eccezionale, con il terzo turno e la sconfitta contro Mona Barthel, ma la sensazione di avercela fatta: non era più la ragazzina impaurita e dallo sguardo timoroso, in quei giorni era cambiata la percezione della realtà intorno. Quell’atmosfera che il tifo australiano crea, quei cori, quei colori, quelle manifestazioni d’affetto, non erano più recepiti come ansia e dovere di non deluderli. Potrebbe averla aiutata Daria Gavrilova da questo punto di vista. Le due sono molto amiche e Dasha per due anni ha emozionato il pubblico di casa arrivando al quarto turno, vincendo anche un match incredibile contro Kristina Mladenovic nel 2016, 11-9 al terzo. A proposito di Gavrilova, le due si trovarono contro a Strasburgo, la settimana prima del Roland Garros, ai quarti di finale. Vinse la prima, 6-4 6-7 7-6, e la seconda in serata le scrisse un tweet: “Siamo ancora amiche, vero?”. In risposta, Gavrilova le mandò la foto di un abbraccio seguito da un cuore.

A febbraio, a Kuala Lumpur, il primo titolo WTA in carriera e l’ingresso in top-100. Partendo dalle qualificazioni ha compiuto un percorso privo di difficoltà, finendo per dominare. Oggi, contro Petra Kvitova, la seconda finale della stagione (e della carriera) che conferma un trend estremamente positivo: è infatti numero 25 nella Race, la classifica che conta i risultati dell’anno solare, e con una vittoria entrerebbe in top-20. A Birmingham Barty sta facendo vedere un ottimo tennis fin dai primi match. Si trova benissimo su questa superficie ed ha tante armi per far valere questa sua condizione, non c’è solo la vittoria su Garbine Muguruza a dimostrarlo, seppur arrivata giocando dritti vincenti e discese a rete in controtempo. Adesso sì che si può parlare di una giocatrice completa.

Alle volte prendere una pausa serve. Cominciando un percorso diverso si aprono strade nuove, si fanno nuove esperienze. Si possono anche riscoprire vecchie passioni ed accorgersi, una volta rientrati, che quel periodo trascorso lontano non ha fatto altro che aumentare il desiderio di riabbracciarlo.

Diego Barbiani

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