Dodici anni dopo, Mowgly sa ancora come mobilitare il suo popolo. Sa come attrarre gli applausi, come arringare la folla e coinvolgere gli incerti. Lo fa con i vecchi trucchi, brandendo il pugno verso l’alto in una posa che un tempo appariva spontanea, ma oggi viene tenuta in serbo solo per le grandi occasioni, quando il punto realizzato marca un passaggio decisivo del match.
Lì lo rivedi, il vecchio ragazzo della jungla, ancora temerario nel colpire a tutto braccio, sempre sulle spine, ardente di quelle voglia inesauste che agitano solo i più grandi, combattente indomabile.
E svaniscono tutti gli altri pensieri, il presentimento di un inevitabile imborghesimento, il sospetto che i lunghi anni del tennis lo abbiano intenerito, che gli infortuni lo abbiano stremato. Sono sparite le canottiere attillate, che marcavano i bicipiti da culturista, e sono spariti anche i riccioli, quel che resta tirato su da una fascia che non evita alla pelata di biancheggiare nell’arruffio causato dalle rincorse.
Non è cambiato invece l’animo del vincente, del campione che sa stare in gara qualunque siano le condizioni, e quell’anelito vitale che lo trascina ovunque decida di approdare. Dieci volte Parigi val bene una targa, magari d’oro, a imperitura memoria, “monumentum aere perennius”, più duratura di qualsiasi metallo, proprio come il suo record. Da mettere all’ingresso del campo centrale, con una stella scolpita in bella vista, per ricordare il ragazzo di Manacor che ha cominciato a vincere a 19 anni e non ha ancora smesso, ora che ne superati trentuno.
Dieci volte Parigi è già ora una delle imprese sportive del secolo, e non è difficile spiegare il perché. Nei prossimi ottantatre anni di questo Duemila, è assai improbabile che qualcuno possa pareggiare o superare un simile record, sulla terra rossa e con le regole di questo tennis. Non ha concesso niente Nadal, nemmeno a Wawrinka.
Un torneo vinto senza perdere un solo set, concedendo appena 35 game agli avversari. Non è il record di Borg del 78, che chiuse con 32 game, ma è il segno di una invincibilità quasi assoluta. È il quindicesimo Slam di Rafa, che ora è solo dietro a Federer. Potrà raggiungerlo? Domanda inutile. I due vecchietti hanno vinto tutto in questa stagione. Meno male che ci sono.
Del resto, Parigi trasforma Nadal, solo qui si sente davvero se stesso. Questo stadio, questa terra, gli sono entrati dentro. Dieci vittorie in tredici stagioni. E dieci anche a Montecarlo e Barcellona. Fanno trenta. Lode o meno, Rafa ha cambiato la regola del nove con quella del dieci. Ma da un tipo così è logico aspettarsi che sappia riscrivere anche la matematica.
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