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Zverev, è tutto oro quel che luccica?

La fame di un nuovo campione è abbastanza alta e i motivi sono molteplici e sotto gli occhi di tutti. Re Roger Federer, colui che incanta più di ogni altro, non può più permettersi tutto l’anno sul circuito e a farne le spese, ovviamente, è stata la stagione sul rosso. Di Andy Murray e Novak Djokovic, che per quanto molti li critichino hanno un buon stuolo di tifosi e a tennis sanno giocare, si hanno notizie sporadiche dei loro fantasmi e dove siano quelli veri è domanda tutt’ora senza risposta. Rafael Nadal, da par suo, ha azzannato, era lecito aspettarselo, la terra rossa, come solo lui sa fare, ma, appunto, gli avversari dov’erano? Stan Wawrinka, è noto, se il torneo a cui partecipa non è uno slam, in genere ritiene che l’impegno sia troppo gravoso e pare preferisca utilizzare i Masters 1000 per fare turismo in giro per il mondo.

Probabilmente tutto questo è più che sufficiente a spiegare perché l’avvento di Alexander “Sacha” Zverev al torneo di Roma sia stato salutato con grande entusiasmo. Nulla di male, per gli amanti del tennis l’aumento dei contendenti ai grandi tornei non può che rendere il piatto da gustare più delizioso. Quello che ci si chiede, però, è se davvero il giovane tedesco, di cui ormai si parla da un paio d’anni come predestinato al vertice delle classifiche, sia già un campione a tutti gli effetti, pronto per entrare nell’agone Slam, o se non ci sia un eccessivo ottimismo intorno a lui, proprio perché le grandi stelle dell’ATP sembrano essere in letargo. In altre parole, è tutto oro quello che luccica di Alexander Zverev?

La domanda ha un che di filosofico, in quanto si tratta di capire il presente e, soprattutto, l’immediato futuro del giocatore e, pertanto, un metodo di risposta valida potrebbe essere l’induzione per ogni singolo aspetto.

Caratterialmente il giovane sembra essere abbastanza pronto, affronta i grandi palcoscenici con la giusta sicurezza e sufficienti certezze dei propri mezzi. A Madrid, però, contro Cuevas, ha mostrato, come è anche giusto che sia, il nervosismo tipico di chi ha poca esperienza e va un po’ in crisi se il piano di gioco della partita non procede sui binari immaginati. A Montecarlo la personalità di Nadal l’ha annichilito. Vero, non ha tremato contro Djokovic, ma quale versione del serbo? Era difficile che il numero due del mondo tornasse se stesso in tutti gli aspetti in soli tre giorni dopo dieci mesi di latitanza. Insomma, ed è anche normale, la personalità è ancora distante dalla maturazione e i campi di uno Slam, con partite tre su cinque, specie a Parigi, dove la lotta alla distanza la fa da padrone, potrebbero essere ancora difficili da domare sotto questo punto di vista.

Dal lato del gioco due fondamentali certamente non si discutono: servizio e rovescio funzionano in maniera egregia, il colpo bimane soprattutto dalla riga di fondo. Per quanto concerne diritto e gioco di volo, al contrario, appare evidente come ci sia ancora da lavorare. Il primo spesso tende a diventare troppo passivo, limite che si è evidenziato molto nel quarto di Roma contro Raonic, non certo uno specialista della terra rossa. Sotto rete spesso Zverev incappa in errore, mostrando un’elevata incertezza e se è vero che oggi il tennis si basa sul gioca da fondo, è anche vero che chiudere determinati scambi col colpo di volo o con tocchi nei pressi della rete resta fondamentale, anche per risparmiare energie, in particolare al meglio dei cinque set. Questo anche perché un altro quesito sul tedesco è la tenuta atletica: il giocatore si muove molto bene, vista anche la stazza, ma il suo fisico è pronto per le lunghe maratone? È pronto a recuperare per una serie di partite dell’intensità dei turni decisivi del Roland Garros, dove un Cuevas o un Carreno Busta possono farti correre per quattro ore prima di cedere? Su questo risposte non ne abbiamo.

Da ultimo basta considerare quanto detto in incipit. I più forti, per svariati motivi, in questi due mesi sono rimasti dietro le quinte ma è difficile pensare che a Parigi la situazione sia la stessa. Almeno qualcuno di essi tornerà se stesso e in primis Nadal che a Roma ha giocato più per dovere che per volere. Di più, se consideriamo il tabellone che Zverev ha affrontato al foro vediamo un quarto e una semifinale con due giocatori che proprio da terra non sono: Raonic e Isner. A Parigi sono molto scarse le probabilità che questo si ripeta.

Forse è il caso di attenuare l’eccesso di entusiasmo intorno al tedesco, il quale ha grandi meriti e che, salvo una crisi caratteriale, che talvolta capita in giovane età, sicuramente diventerà un campione, ma non si commetta l’errore di celebrare quanto ancora non è accaduto. La vittoria in un mille, per di più di scarsa qualità come Roma quest’anno, è solo un primo passo del cammino e ben altri ostacoli più duri si stagliano davanti al giovane “Sacha”.

Matteo De Laurentis

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