Nel 2016 Roger Federer giocò due tornei sull’erba di Halle e quella di Stoccarda. Perse contro Alexander Zverev e Dominic Thiem ma mentre i due non arrivarono al Manic Monday di Wimbledon, lo svizzero buttò al vento con un game scellerato la sua undicesima finale a Church Road. Il fatto è che una cosa è giocare i tornei preparatori – dal più vintage “500” al più pretenzioso “1000” – altro giocare lo Slam. Non è solo la distanza, i tre set su cinque, a fare la differenza ma tutto quello che ci sta attorno. I giocatori di vertice, sazi di vittorie minori, tarano tutta la loro stagione sulla possibilità di arrivare al top in 4-5 momenti importanti, e non possono certo buttare all’aria un Roland Garros per vincere un qualsiasi Madrid. O Roma.
La sconfitta di Zverev ha fatto correre i commentatori a ricordare che in fondo è solo la prima volta che un vincitore al Foro Italico perde un primo turno a Parigi. Quello che scordano di dire è che però, nelle circa 50 edizioni dell’era open raramente chi gioca bene a Roma a Parigi riesce ad arrivare lontano. E se i finalisti delle edizioni precedenti avevano un po’ invertito la tendenza era solo perché lo strapotere dei “terraioli” nei confronti del resto della truppa consentiva loro di vincere il torneo romano anche giocando a mezzo servizio. Del resto non è troppo lontano nel tempo il sollievo di Rafa Nadal dopo la sconfitta contro Thiem, mentre persino il peggior Federer che si ricordi riuscì nell’impresa di arrivare in finale nel 2013 e 2014. Insomma il torneo romano sarà anche una grande kermesse in grado di macinare molto denaro ma quando si fa sul serio non aspettatevi di trovarvi John Isner o Lucas Pouille in semifinale. E se un ragazzino di neanche vent’anni trova un vecchio scapestrato del circuito, come Nando Verdasco, la cosa più semplice è che uno più abituato di lui a giocare qualcosa di più serio di una finale “1000” possa uscirne vincitore. Col risultato di far apparire pateticamente grottesche le sceneggiate televisive che rimproverano gli italiani di non saper apprezzare nella giusta misura le proprie cose importanti. Vabbè.
A parte queste considerazione oziose, Zverev ha confermato di meritare tutte le perplessità di cui avevamo già detto anche durante la trionfale campagna romana. Il ragazzino tedesco è forte e sarà fortissimo ma a condizione che si metta a lavorare per davvero sui suoi punti deboli. Che non sono soltanto racchiusi in una disastrosa capacità di posizionamento a rete – coniugata con una mano non proprio felicissima – ma nella lettura del match. Il fatto è che Zverev non sa bene cosa fare quando non riesce a chiudere il punto nei primi 4 colpi, finendo imprigionato in ragnatele tattiche persino da Verdasco, uno che in carriera non è mai stato un folgorante esempio di lucidità. E quindi o trova un modo per cercare di scoprire cosa fare quando l’avversario ti rimanda servizio e primo colpo dopo il servizio oppure il tedesco partite ne perderà più di quanto alcuni ottimisti non pensavano.
Il fatto che la giornata parigina di oggi sia stata dominata dalla partita di Zverev la dice lunga sulle aspettative che si erano concentrate su Alexander, soprattutto se si considera che oggi era il turno di due dei favoriti, Murray e Wawrinka, e di uno che sceglierà lui se esserlo o meno, Nick Kyrgios. È consolante che il più solido sia apparso proprio quest’ultimo, che di fronte a Kohlschreiber – che non sarà quello di un tempo ma sulla terra di Parigi è l’ultimo che ha battuto Djokovic senza vincere mai il torneo – ha semplicemente mostrato chi è più forte. Meraviglioso il tiebreak, in cui Nick ha davvero fatto intravedere cosa potrebbe fare, altro che problemi dopo il quarto colpo… e meravigliosa persino la conduzione del match. Se non fosse che è Kyrgios – “non mi alleno sulla terra perché poi sporcherei la macchina” – avremmo trovato il vero ostacolo verso la decima, ma sarà meglio pensare partita per partita.
Andy e Stan hanno confermato le loro partenze lente, anche se forse lo scozzese dev’essersi stufato di regalare set a destra e manca e dopo il 4-6 subito da Kuznetsov ha concesso solo due game al russo. Adesso avrà Klizan, protagonista delle solita scenette, ormai un po’ noiose, contro lo sconosciuto Lokoli, irritato al punto da non volergli neanche dare la mano a fine match. Considerato che del Potro sembra in discrete condizioni sabato dovremmo vedere un interessante terzo turno tra lui e lo scozzese.
Oggi esordiva anche Nishikori, che giocava con uno che si pensava fosse più forte di Kyrgios, prima che mostrasse una preoccupante fragilità. Kokkinakis ha fatto vedere i sorci verdi a Kei per tre set ma alla fine ha perso in quattro. L’augurio è che almeno abbia risolto i suoi guai fisici.
Detto di Lorenzi e rallegrati tutti dell’inaspettato 5 su 5 a primo turno – cosa che non accadeva da così tanto tempo che non vale neanche la pena affannarsi a cercare – rimane lo spazio per un accenno al torneo femminile.
Simona Halep pare sia in discrete condizioni e ha vinto senza nessun problema, così come Aga Radwanska, che ha avuto gioco facile sulla povera Fiona Ferro. Anche per loro, in questo torneo senza padroni, vale l’avvertenza di valutare giorno per giorno. Da segnalare anche il ritorno alla vittoria di Bouchard – cosa che avrà riempito di gioia il direttore del torneo di Norimberga, dal quale la canadese si era ritirata – e forse anche la sconfitta di Konta, che sulla terra però, chiediamo scusa, conta fino ad un certo punto. Insomma alla fine il personaggio del giorno è Marketa Vondrousova, che dopo aver perso appena sette game nei tre incontri di qualificazione ha esordito in uno slam vincendo 6-1 6-0. La ceca farà 18 anni a fine mese ed è già tra le prime 100.
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