Interviste

L’Italia a Parigi tra ieri, oggi e domani

dal nostro inviato

È un gioco a tre, tre tennisti e tre cantoni. Un role-playing game, un gioco di ruolo, ma tutto italiano, nel quale i dialoghi avvengono con il rimbalzare e il rincorrersi dei risultati. Campo sei, Campo sedici e infine il numero otto. Lì ci sono Simone Bolelli, Stefano Napolitano e Andreas Seppi. Li hanno mandati in campo assieme, e finiscono a una manciata di minuti l’uno dall’altro, come una crono tappa a sfondo tennistico. Giocano contro avversari che hanno un nome, una storia, e non sono affatto malleabili pur non essendo fra i primi della classe. Le staffette portano da un campo all’altro l’andamento dei match. Il pubblico in tricolore si sposta per vedere quattro game dell’uno e poi quattro dell’altro. Vincono tutti, alla fine, e tutti meritando, dunque vince il tennis italiano, per una volta.
Nuova e vecchia generazione assieme. Next and Past Game, dicono nel circuito. Trentadue Bolelli, uno in più Seppi, solo ventidue Napolitano. Bole è meglio di Lazzaro: è alla quarta, forse la quinta resurrezione. Seppi ha ancora voglia, e in pochi ci credevano. Napolitano ha il compito più difficile, perché gioca con un tennista che pratica il vecchio serve and volley. Almeno sulla carta, perché Misha Zverev, “il fratello grande di quello che diventerà numero uno”, per usare una definizione cui lo stesso Zverev ha spontaneamente aderito, viene da una finale a Ginevra, ma non sa un tubo di questa terra rossa traditrice, che è un po’ lenta e un po’ no. Si spinge ai margini della rete e torna indietro, resta a mezza strada e non sa come tirarsene fuori. Si sa, il gioco d’istinto sul rosso offre un’ulteriore scrematura fra i pochi che lo perseguono, ci sono i campioni che se lo possono permettere, e ci sono gli altri, che sarebbe meglio se avessero un piano B. E Misha non ce l’ha.
Però Stefano ne approfitta al meglio, dopo un primo set regalato all’emozione dell’essere finalmente su questi campi da protagonista. Dal secondo il nostro si mette al lavoro, rintuzza, insegue palline per dimostrare all’altro che è pronto alla lotta, chiude qualche buon punto, il passante lo usa con disinvoltura. Meglio Stefano a rete, le poche volte che ci arriva. Misha ormai nemmeno ci prova più.
Bolelli va giù duro. Il francese Mahut qualche risultato l’ha fatto, ma resta doppista, e in singolare spesso improvvisa. Rientrato da nove mesi di sosta e un delicato intervento al polso, Simone ha ricominciato dal basso, ha superato (come Napolitano) le qualifiche, sta cercando ancora una volta se stesso. Lo trova martellando Mahut, spingendolo via dalla riga di fondo campo. Ha tanto tennis nel braccio, Simone, peccato che la sua vicenda tennistica, fra infortuni e assalti alla (sua) diligenza, non gli abbia permesso di raccogliere il dovuto. «Punto a tornare fra i primi cento a fine stagione», dice. Ora è 470, ma la vittoria gli vale il numero 310. Strada ne ha da fare.

Daniele Azzolini

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