Manca un giorno al 26 aprile, quando Maria Sharapova sarà finalmente libera dalle catene di una delle squalifiche per doping più discusse ed intricate che si ricordi. E cresce la sensazione di una tigre che sta ormai affilando le unghie e contando senza sosta le ore, i minuti che mancano.
Dodici mesi fa l’annuncio più complicato della sua carriera sportiva, ed imprenditoriale. Anche in quell’occasione, come sempre, catalizzando l’attenzione con una conferenza stampa via YouTube da Los Angeles. “Non ho superato un test all’antidoping – disse – per una sostanza, il meldonium, contenuta in un farmaco che assumo da dieci anni, il mildronate. Non sapevo fosse diventata illegale”. Gli sponsor la abbandonarono, o quantomeno sospesero la loro collaborazione, prima di ripresentarsi al capezzale di una delle donne più note, importanti e ricche che lo sport abbia mai conosciuto. Soprattutto la Porsche, che ha deciso di riportare la ex numero 1 del mondo sui campi già questa settimana a Stoccarda. Sembrava impossibile, ma nel weekend precedente si è giocata la Fed Cup e dunque molti primi turni potranno essere giocati anche mercoledì 26. Si è incastrato tutto alla perfezione, a patto che la russa non si presentasse e non facesse allenamenti alla Porsche Arena, non rilasciasse dichiarazioni né attività con gli sponsor fino a quel giorno. E quando si dice “no”, qui è proprio un “no”. Non ci sono poster della russa lungo i corridoi, neppure nella parte che circonda il campo numero 1 dove vengono esibite le immagini di ogni singola giocatrice presente. Nessuno la nomina, eppure tutti la attendono: i tavoli in sala stampa sono raddoppiati per dare spazio ai giornalisti presenti, le sedie di fronte alla postazione delle conferenze stampa sono forse triplicate, hanno rivoluzionato tutto l’aspetto della media room per permettere a (molta) più gente di essere presente. Ed ancora è passato solo il lunedì.
La Sharapova Corporation ha ottimizzato i 15 mesi di stop fino a trasformare in una corsa al rialzo l’imminente ritorno. Ha fiutato l’occasione di occuparsi delle sue attività imprenditoriali presentandosi ad Harvard per un corso di marketing avanzato. Poi la comparsa (seconda consecutiva) alla festa degli Oscar come celebrità. Molto particolare: un anno dopo l’inizio del suo esilio forzato, lei era l’unica tennista presente. Eppure era squalificata per doping.
È rimasta l’impeccabile macchina da soldi di prima, fatto anche questo non scontato. Eppure nel tour non troverà grandi affetti al momento del rientro. Si avvicina il rientro, ma rimangono ancora diversi interrogativi aperti: possibile che una donna come lei, con tutto quello che rappresenta e che (ora siamo certi) continuerà a farlo, non abbia saputo nulla? Il resoconto di quanto accaduto nelle aule di tribunale, compreso il CAS, lascia più domande che risposte.
Assumeva mildronate, assieme ad altre 17 medicine, dal 2006 con la prescrizione del medico Anatoly Skalny per tenere sotto controllo dei valori alterati dell’elettrocardiogramma ed altri problemi di salute. Quando nel 2010 Skalny le disse di aumentare il numero di medicine di 18 a 30, Sharapova interruppe i rapporti e ridusse il numero a 3: magnerot, riboxine e mildronate. Nel 2012 affidò questa faccenda a Max Eisenbud, il manager che la prese quando agli albori della sua trionfale carriera e l’ha fatta diventare la Maria Sharapova che tutti abbiamo imparato a conoscere. Possibile che una persona che cura l’immagine di una donna da 300 milioni di dollari non abbia avuto la premura di informarsi? Sharapova disse di non aver letto la mail inviata dalla WADA, motivo per cui ha continuato poi ad assumere il farmaco divenuto proibito. Eisenbud disse di non aver potuto controllare la lista dei farmaci proibiti perché era impegnato nel divorzio dalla moglie e non era potuto andare in vacanza ai caraibi, luogo dove nelle stagioni precedenti si recava per rilassarsi ed informarsi sui cambiamenti previsti. Semplice disattenzione, così nonostante il tribunale disse che “sembra evidente l’utilizzo del farmaco per alterare le prestazioni sportive, non può essere riconosciuto il dolo”. Un errore da matita rossa, solo 2 anni di squalifica invece che i 4 chiesti. Eppure fu trovata con elevati valori di meldonium in quattro occasioni prima che divenisse illegale e lo stesso farmaco veniva assunto senza alcuna prescrizione medica da quando interruppe i rapporti con Skalny, senza far parola dell’utilizzo se non che con il manager o papà Yuri. “È un prodotto da bancone” replicò lei nella prima intervista rilasciata dopo la sentenza della riduzione per doping. Lo stesso prodotto, però, che risulta tutt’ora vietato alla vendita negli USA (dove Sharapova vive stabilmente da più di 20 anni) ed in parte dell’Europa.
La WADA, visto l’enorme flusso di atleti positivi, ritornò parzialmente sui suoi passi e rivelò di non sapere i tempi esatti che impiegava la sostanza ad essere espulsa dal corpo umano. Furono stabiliti dei parametri e molti furono assolti. Sharapova fu tra i pochissimi, se non l’unica, che alla fine venne condannata perché i dati presentati dal suo avvocato rivelavano che nei 5 giorni di gare a Melbourne per l’Australian Open 2016 (quando già era diventato illegale) aveva assunto 500 milligrammi di meldonium. Colpa che le fu riconosciuta anche dal CAS, nel processo d’appello, seppur in forma più lieve. In questo passaggio, è nato il contrattacco della russa contro l’ITF: “Al processo avevo di fronte una giuria arbitrale selezionata dall’ITF: parlavo di fronte a persone scelte dall’entità contro cui stavo lottando. Non sono sicuro sia neutrale. Il CAS lo è. Dall’inizio di questa storia ho spiegato quanto loro non siano stati trasparenti. E sono orgogliosa di averlo fatto. Non avrei mai voluto dire di essere infortunata o prendermi una pausa, lo dovevo ai miei tifosi e ho detto la verità”. Fino poi alla frase che è divenuta il simbolo dell’attesa e della sua lotta contro le accuse di aver cercato di imbrogliare: “Sono nata come una guerriera. Nel tennis come nella vita”. Facile pensarlo, dopo averla vista uscire probabilmente ancor più rafforzata da una valanga che avrebbe potuto travolgerla, difficile a farlo.
Ora però tutti questi discorsi si azzerano. Sharapova ha scontato la squalifica e sta tornando, vedremo mercoledì se questi 15 mesi l’hanno cambiata o se sarà rimasta la solita giocatrice da subito competitiva per i risultati più importanti. Intanto l’attesa sale, e c’è chi non più nella pelle. Eppure anche il direttore dell’impianto sembra non volerci pensare. Oggi, alla frase “Sei pronto per mercoledì?” ha risposto, sorridendo con la faccia da vecchio furbone: “Perché?”. Forse ha ragione Roberta Vinci quando dice che “in fondo è solo una partita di tennis in un torneo come un altro”, però nell’anno del quarantesimo anniversario la Porsche Arena è una volta di più al centro del mondo tennistico.
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