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Kyrgios, l’erede per un “dopo Federer” diverso

Se c’è (o meglio: se mai ci possa essere) un erede a livello mediatico di Roger Federer, quello è senza dubbio Nick Kyrgios. La popolarità raggiunta dallo svizzero anche al di fuori del tennis si è rafforzata più che mai, in questo 2017, arrivando a toccare livelli francamente imbarazzanti (specie per i suoi colleghi), ma se c’è uno che nel futuro, nel prossimo futuro, potrà riempire gli stadi di tutto il mondo e mantenere altissimi i livelli di popolarità globale di questo sport, quello è Kyrgios.

È ovvio che l’australiano non potrà essere Federer, né dal punto di vista mediatico né tantomento da quello tennistico, ma fatto sta che il classe 1995 riesce, in un modo tutto seducemente suo,  ad intrigare. Tutto è elettrico, quando gioca. Il suo modo di essere, che per alcuni è e probabilmente continuerà ad essere vagamente insopportabile e sfrontato, attrae. Il punto però è che Kyrgios non è solo uno che spacca racchette (contro Federer è arrivato a quota quattro), che dice e fa delle cose che non stanno né in cielo né in terra.

Non è più solo un tamarro con un talento fuori dalla norma quando ha in mano una racchetta da tennis, ma è diventato un campione. Forse è meglio dire: è ad un passo da diventare un campione. Poi ieri ha perso certo, ma l’atmosfera che c’era attorno a questi due, ha ricordato qualcosa di magico, ci ha fatto (letteralmente) passare qualsiasi briciola di sonno, nonostante l’ora proibitiva. Ci ha fatto vivere più di una partita, ma una visione del futuro.

Ormai Nick non fa solo circo, ma è anche sostanza. Ha ancora dei passaggi a vuoto ed è evidente che non sfrutta ancora completamente il suo sfacciato potenziale, ma è lì, è vicino. Sta toccando con mano quello che potrebbe veramente fare. Perché essere un “bad boy”, dire e fare cose fuori dalle righe, essere uno da “potrebbe fare tanto ma non si applica”, al pubblico piace fino ad un certo punto. Poi, passata la “cotta”, ti vede per quello che sei: un pirla con tante possibilità che non hai sfruttato.

La gente, in praticamente, vuole vederti vincere, perché probabilmente è l’animo umano invidiare e bramare i successi altrui, che non sopporta i perdenti, specie quelli che hanno tutto per non perdere. E sì, è vero, non è detto che tu sia un vincente solo quando vinci, e non è detto che se hai un talento lo devi necessariamente sfruttare. Ma se non lo fai, vivrai nel compatimento. Perché l’essere umano è competitivo, e nel tifo ci si rispecchia e ci si identifica, è una cosa istintiva.

Ma Nick ha due palle quadrate, e perdonerete il francesismo. Non ha paura di niente e di nessuno, quando è in campo. E quando è in campo, non rispetta nessuno. Nemmeno il pubblico (a proposito: vergognoso ieri con lui, quasi quanto i giudici di linea, con la differenza che quest’ultimi sono pagati) che, oltre a tifare Federer, ha cercato in maniera piuttosto palese e grossolana di far perdere la pazienza all’australiano (“tanto è così facile”, sarà stato il pensiero comune di quei geni ), e in parte c’è pure riuscito, ma nonostante questo Kyrgios è andato ad un passo così dal battere quello che è l’Everest del tennis, oggi forse più che mai.

Deve limare certe cose, sia nel carattere che nel suo gioco (ad esempio: perché rischiare praticamente sempre la seconda in quel modo?), ma se dovessi mettere ora “my two cents” su chi sarà il principale protagonista delle scritture D.F., le metterei su Kyrgios. Sperando, e capita spesso, di non sbagliare.

Luigi Ansaloni

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