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Amata terra mia. Nadal e i suoi compari

Quante volte, quando ci troviamo lontano da casa, siamo soliti uscircene con questa nostalgica frase, pronunciata magari davanti ad una vecchia foto? Basta solamente il pensiero di un posto familiare, conosciuto, per renderci immediatamente malinconici e strapparci il sorriso via dal volto. Non sarebbe troppo strano se nel tennis le cose funzionassero in modo simile. Alcuni giocatori magari sognano per tutto l’anno la loro superficie prediletta, maledicendo il duro cemento sotto i loro piedi, struggendosi per gli infiniti scambi a cui non possono dar vita. Se così fosse, tali soggetti potrebbero anche asciugarsi le copiose lacrime, soffiarsi quel naso arrossato e guardare speranzosi il calendario. È aprile e ciò significa, oltre ad allergie e sessione d’esami di Pasqua per i più giovani, terra battuta. Le nostre televisioni, per questa prima metà di 2017, non si coloreranno più di blu, ma di un acceso e intenso rosso. Chi segue tennis sa, che i tornei in terra ci sono anche durante il resto della stagione, ma qua si parla della terra “europea”, quella che conta. L’antipasto di Marrakech, poi Montecarlo e Barcellona prima, Madrid e Roma poi, fino al gran finale a Parigi.

Tutti si preparano, chi trepidante, chi aspettando solo che finisca in fretta.
Chi sono dunque quei giocatori, che a giochi conclusi, avrebbero voglia di pronunciare un laconico “terra mia” e quelli che potrebbero?

Pablo Carreno-Busta
È logico che da lui non ci si possa aspettare che vinca il Roland Garros, ma l’ex giovane spagnolo ha impressionato davvero in questi mesi. Semifinale a Buenos Aires e San Paolo, finale a Rio, ma sopratutto semifinale ad Indian Wells. I progressi sono sotto gli occhi di tutti e lo certifica anche la classifica, che lo vede al diciannovesimo gradino. È vero che le circostanze che lo hanno portato fino alla semifinale sul cemento americano sono state in parte fortunose, ma provare a ripetere tale impresa, questa volta sul rosso, non costa nulla. A Montecarlo ci sarà subito Fabio Fognini, un test non semplice, forse uno spareggio.

Lucas Pouille
Questi primi tre mesi del 2017 sono stati una vera e propria via crucis per il francese. L’eliminazione al primo turno dagli Open d’Australia e le due sconfitte, entrambe con Donald Young, nei Master 1000 statunitensi, hanno rappresentato una grave involuzione nella sua crescita. È stato comunque rallentato a gennaio da infortuni, che hanno lasciato strascichi nei mesi successivi, ma oltre ad una finale a Marsiglia, il cemento non gli ha riservato particolari gioie. La stagione sulla terra giunge in suo soccorso, considerando che lo scorso anno in questo periodo, il francese mise una grande ipoteca sulla sua scalata della classifica, sopratutto con la semifinale centrata a Roma. Sfruttare al meglio il cambio di superficie dovrà essere la chiave per tornare a giocar bene, anche in ottica Slam, per riscattare la tremenda batosta presa a Melbourne per mano della wild card Bublik. L’anno scorso a Roma divenne “lucky”, adesso dovrà solo esser bravo.

Nick Kyrgios
Il (finto?) bad boy australiano non è di certo un terraiolo e ciò non è un segreto. Nick non ama particolarmente la terra come i risultati raggiunti testimoniano, ma con la nuova mentalità messa in campo quest’anno, non è detto che i problemi debbano continuare. È vero che non ha ancora vinto un titolo in stagione, ma le due vittorie contro Novak Djokovic e la gran partita, anche se persa, con Roger Federer, hanno lasciato l’immagine di un Kyrgios più pronto al grande salto. Sarà probabilmente l’erba a dare tutte le riposte sui suoi reali progressi, ma questo non significa che la stagione sul rosso sia destinata ad essere un fastidioso calvario. Magari anche l’aussie avrà i suoi motivi per concedersi la frase di cui detto sopra.

Fabio Fognini
L’azzurro ha condotto fino a febbraio una stagione molto simile alle altre. Poca fortuna a Melbourne, diversi tornei in Sudamerica, il tutto con pochi risultati di rilievo. Poi succede che Fognini fa il botto, trova se stesso in una Santiago de Compostela, che assomiglia incredibilmente a Miami e diventa il primo italiano a raggiungere la semifinale in un Master 1000 sul cemento. Ma è già tempo di terra battuta. Fabio arriva con il massimo della fiducia possibile e per lui vale lo stesso discorso fatto per Carreno-Busta: se ha trovato spazio sul cemento, cosa può succedere sulla terra?
 Inoltre, con tutto il rispetto per lo spagnolo, il ligure ha un bagaglio tecnico di gran lunga superiore e di conseguenza aspettative diverse (pur essendo dietro in classifica). La gestione della pressione non è mai stata il suo forte, ma i presupposti per due ottimi mesi ci sono tutti. 65 sono i punti da difendere tra Monte-Carlo, Madrid, Roma e Parigi e fare peggio sembra proprio difficile. Che sia la volta buona?

Rafael Nadal
Non poteva di certo mancare il nove volte campione degli Open di Francia. Lo spagnolo è reduce da un’ottima stagione sul cemento prima australiano e poi americano. Ha raggiunto infatti la finale a Melbourne, Acapulco e poi a Miami. Qualcosa però, se proprio si vuole cercare il pelo nell’uovo, non è andata per il verso giusto. Basta guardare il dato sulle finali giocate. Il maiorchino, solitamente un esempio di forza fisica e mentale, tre volte è arrivato all’atto finale e in tutti i casi è stato sconfitto. Ad Acapulco da Querrey, in una partita davvero difficile da spiegare e in Australia e a Miami dal redivivo Roger Federer. Seppur dallo spagnolo ci si aspetti sempre la vittoria finale, c’è stata una crescente tendenza a giustificarlo. Non è la sua superficie preferita, Federer è ingiocabile, ha dato comunque tutto. Il tempo delle buone intenzioni termina però con l’inizio della stagione sul rosso. Rafa non può più sbagliare in casa propria, con i gemelli diversi, Djokovic e Murray, sempre più in difficoltà. Tre Master 1000 e uno Slam sono sul tavolo, avrà la fame necessaria ad appropriasi della portata più prestigiosa?

Aldo Cutaia

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