Trentasette anni fa Arthur Ashe annunciava il suo ritiro ufficiale dal tennis. I problemi al cuore, ereditati dai genitori, si erano manifestati nella seconda metà del 1979, costringendolo a un delicato intervento nel mese di dicembre. Inutili i tentativi di ritorno in campo, a trentasei anni Arthur Ashe lascia il mondo del tennis chiudendo una straordinaria carriera con trentatre titoli, tre Slam, un best ranking da numero 2 del mondo e oltre 600 vittorie da professionista.
Vincitore del primo US Open dell’era Open, Ashe fu anche il primo afroamericano ad aggiudicarsi un Major, impresa ripetuta soltanto da Yannick Noah anni dopo al Roland Garros. Campione agli Australian Open del 1970, la più grande impresa del tennista della Virginia resta l’incredibile successo a Wimbledon nel 1975 quando si impose contro ogni pronostico sull’acerrimo nemico Jimmy Connors in una partita passata alla leggenda.
Uomo di grande cultura e sensibilità, Ashe si battè a lungo contro le discriminazioni, in particolare contro il regime di apartheid che attanagliava il Sudafrica in quegli anni. In vista di un nuovo intevento al cuore, nel 1983 si sottopose a una trasfusione di sangue che purtroppo si rivelò fatale: contrasse l’AIDS, diagnosticata qualche anno dopo e mantenuta segreta fino al 1992. Morì il 6 febbraio del 1993 a causa delle complicazioni di una polmonite dovuta alla sua malattia; in suo onore il nuovo campo centrale di Flushing Meadows, inaugurato nel 1997, porta da allora il suo nome.
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