In questi giorni si è fatto un gran parlare di Roger Federer. Il diciottesimo Slam, il quinto titolo a Indian Wells, il venticinquesimo Masters 1000, il novantesimo titolo Atp: numeri (e gioco) da far girare la testa. Non solo a noi, ma anche agli avversari.
Oggi però noi vogliamo parlare degli altri tre, dei suoi più grandi rivali di questi anni che – chi per un motivo, chi per un altro – stanno attraversando un momento particolare della loro carriere.
Il Nadal visto a Indian Wells è sembrato di colpo impotente innanzi a Federer. E fa quasi strano persino scriverlo, se si pensa che lo svizzero è sempre stato (erroneamente) considerato il bocconcino preferito del maiorchino. In realtà, fossimo in lui, ci preoccuperemmo più della sconfitta con Querrey ad Acapulco, piuttosto che delle due sconfitte contro questo Federer. Perché non è affatto vero che Nadal ha sempre avuto vita facile con Federer. Ed è lui il primo a saperlo. Il loro bilancio complessivo (23-13) è in qualche modo “falsato” dal 13-2 su terra, frutto dell’indiscutibile (stavolta sì) superiorità dello spagnolo su questa superficie. Ma per il resto il bilancio tra questi due fenomeni è di sostanziale equilibrio (11-10 Federer). E probabilmente, si fossero incontrati quindici volte su erba anziché su terra, oggi parleremmo magari di un 23-13 in favore dello svizzero.
Il problema di Nadal non è tecnico, ma fisico/atletico. Aspetto che però ha delle evidenti ripercussioni sull’efficacia del gioco del maiorchino. Si è fatto un gran parlare del “nuovo” rovescio di Federer, ma ci si è forse soffermati troppo poco sul fatto che questo straordinario colpo è stato in qualche modo favorito dalla minore efficacia del dritto di Nadal. Che una volta atterrava nei presi della linea di fondo, ora poco oltre i rettangoli di battuta. In conclusione, lo spagnolo ha senz’altro avuto un ottimo avvio di stagione, migliore di qualsiasi previsione. Ma non appena il livello si è alzato un po’ ha incontrato le solite difficoltà degli ultimi tempi. Anche contro il suo miglior nemico.
Il caso di Murray sembrerebbe quello di più facile lettura. Lo scozzese ha spinto come un ossesso per mesi, al fine di raggiungere l’agognato numero uno del ranking. Ad obiettivo raggiunto, tra appagamento e qualche lieve infortunio, ha tirato un po’ il fiato. Comprensibile. Meno comprensibili sono però state alcune sue sconfitte in questo inizio di stagione. Avremmo capito qualche battuta d’arresto con avversari come Nishikori, Raonic o altri di questo livello. Senz’altro di più difficile lettura le sconfitte contro Mischa Zverev o Pospisil. La vittoria di Dubai può aiutare, ma una rondine non fa primavera. E nel frattempo Federer gli ha rosicchiato, dall’inizio dell’anno, 2580 punti…
Veniamo così al caso più spinoso, quello di Djokovic. Il serbo, ormai è evidente, dal Roland Garros 2016 non è più lui. Portato a termine il RoboNole Slam, era arrivata la sconfitta con Querrey a Wimbledon e si pensò a un umanissimo e poco robotico incidente di percorso. Poi è arrivata quella, dolorosissima, con del Potro alle Olimpiadi. E ancora quelle con Wawrinka (Us Open), Bautista Agut (Shangai), Cilic (Bercy), Murray (Masters), Istomin (Australian Open) e Kyrgios (Acapulco e Indian Wells). Nel mezzo poche soddisfazioni (Toronto e Doha) e molti dubbi, persino in occasione di alcune vittorie (Medvedev in Davis).
Insomma, un periodaccio. Che non sembra, per ora, vedere fine. In questo senso, forse, lo stop di Miami può essere addirittura visto come un qualcosa di positivo. Staccare la spina, fisicamente e (soprattutto) mentalmente, potrebbe fargli bene e aiutarlo a ricaricare le batterie. Yelena e il piccolo Stefan potrebbero insomma ridargli quella serenità che ultimamente sembra aver smarrito in campo. Guru permettendo…
Per concludere, vorremmo però chiudere con un consiglio non richiesto. Tutti i più grandi rivali di Federer stanno vivendo un momento particolare delle loro carriere. L’usura e le motivazioni certo, lo abbiamo ricordato. Ma anche (soprattutto?) ragioni tecniche. Nadal compirà 31 anni in giugno, durante il “suo” Roland Garros. Djokovic e Murray ne compiranno 30 in maggio, ad una settimana di distanza l’uno dall’altro. Alla loro età anche Federer ha avuto un primo, netto, calo. Lo ha aiutato la determinazione, certo. Ma anche la capacità tecnica di tentare qualcosa di nuovo. Sono arrivati allora gli anni con Edberg e il Federer molto più presente dalle parti della rete. Ora con Ljubicic vediamo un Roger aggressivo fin dalla risposta, come non lo avevamo mai visto in passato. Sembra poco, ma non lo è. In particolare superati i 30 anni, figuriamoci a 35. Per fare ciò occorrono volontà e applicazione, naturalmente, ma anche l’abilità tecnica per realizzare un qualcosa di nuovo.
Dunque, cari Rafa, Nole e Andy, inventatevi qualcosa. Magari una vostra personalissima Sabr, o qualche serve&volley estemporaneo. Insomma, reagite all’andazzo. Prendete esempio da quel giovanotto svizzero, capace di rimettersi in gioco a 35 anni. Non abbiate timore di copiarlo, nessuno ve ne farà una colpa. Anzi, verrete apprezzati e amati sempre di più. E, a proposito di amore, non smettete di amare il tennis, fatevi sedurre di nuovo da questo gioco, ricominciate ad amarlo. Ecco, l’amore per il tennis: questo è stato ed è il vero elisir di lunga vita di Roger Federer. Imitatelo, non ve ne pentirete. E ne trarrete indubbio giovamento.
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