C’è uno scontro nella storia della filosofia che è tra i più conosciuti e che ancora oggi è oggetto della speculazione: lo scarto tra l’essere e il dover essere di Immanuel Kant e l’idealismo speculativo di Hegel che non ammette lo iato supposto dal primo, perché ciò che deve essere, se davvero ha da essere, non può essere così impotente da non realizzarsi. Tradotto in sintesi più semplice, è la diatriba tra chi ritiene la morale un principio guida da porre come fine ultimo delle azioni e chi ritiene che la moralità attende solo di esprimersi, attraverso un momento negativo destinato a svanire.
Cosa ha a che fare tutto questo con il tennis?
Lo sport, su questo non vi è dubbio, è un’attività in cui l’etica svolge un ruolo fondamentale: ci sono regole, scritte e non scritte, che ogni sportivo vero, in ogni disciplina, è tenuto a rispettare per poter partecipare alla competizione. Lo sport insegna un’etica e tra le sue regole una di quelle principali è quella di non doparsi. L’assenza di doping dovrebbe garantire la parità di condizioni di partenza degli atleti nella competizione. Alcuni sportivi però, si dopano, qualcuno viene scoperto e anche punito. Oltre alla punizione giuridica inflitta dagli organi competenti però, proprio perché lo sport si basa su determinati principi, l’atleta subisce una punizione non scritta dai colleghi e anche da molti appassionati. L’essersi dopati resterà una macchia nella propria carriera, non si può negare.
Non stupisce, pertanto, che nessuno tra i giocatori o giocatrici a cui è stata posta la domanda, abbia risposto, più o meno esplicitamente, di essere concorde con le wild card concesse a Maria Sharapova allo scadere della sua squalifica.
Questo è stato il polverone della settimana, il tema su cui si è concentrato il mondo del tennis al di là delle partite in programma: giusto o no concedere inviti alla russa?
Tale polemica, però, allo stato dei fatti risulta essere molto sterile.
In primo luogo, inutile dire che i tennisti e le tenniste hanno ragione: la fatica per arrivare ai vertici dell’ATP e della WTA è tale che non si può pensare che i colleghi della Sharapova avallino una scorciatoia per la russa per tornare a giocare i tornei più importanti. È quella regola non scritta citata sopra: se ti sei dopato, hai il dovere di dimostrare doppiamente il tuo valore per togliere quella macchia dalla tua immagine.
D’altro canto, qualcuno aveva messo in dubbio che la Sharapova avrebbe ricevuto wild-card?
Sarebbe bello immaginare un mondo in cui lo sport è altro dal resto della realtà, ma vivere nell’illusione che sia così pare veramente infantile.
La russa, com’è facile immaginare, non è solo una giocatrice, è un marchio, una garanzia di introiti molto alti in termini di denaro, seconda in questo senso forse solo a Federer e Nadal.
Questo è l’essere, laddove i tennisti rappresentano il dover essere e non stupisce che il Roland Garros si sia schierato con i giocatori senza concedere l’invito alla giocatrice. Lo slam francese non ha certo bisogno di questo per i suoi bilanci ed essendo un major ha più convenienza a mantenere la sua immagine legata a uno sport puro.
In fondo, la miglior sintesi della situazione l’ha data il numero uno del mondo, Andy Murray: “Penso che uno debba davvero lavorare per tornare in alto” ha detto Andy al Times, “tuttavia la priorità dei tornei maggiori è quella di pensare a cosa è meglio per loro. Se pensano che avere i nomi di maggior richiamo venderà più biglietti, lo faranno”.
Dover essere e essere, appunto, tutto il resto sono parole vacue. Senza esagerare con il cinismo, difficile pensare a un mondo del tennis che adegui i due piani dell’etica. In fondo anche la storia della filosofia, nel suo seguito, ha dato, sul piano della morale, maggior ragione a Kant. Giusto tenere un fine come riferimento, difficile pensare che esso sarà mai raggiunto. Probabilmente però altri sono i campi dove andare a cercare la coincidenza dei due piani, dove pretenderla.
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