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Il caso Moore non è servito a migliorarci

No, non ci siamo ancora. Ad un anno di distanza dalle frasi di Raymond Moore, ex direttore del torneo di Indian Wells, che scatenarono un’autentica polveriera a proposito del modo di interpretare i rispettivi circuiti da parte dell’ATP e della WTA (“Son sincero: nella mia prossima vita vorrei essere parte della WTA, perché loro seguono tutto quello che fa il tennis maschile senza prendere decisioni e sono fortunati, molto fortunati”) e la successiva affermazione per cui le tenniste dovrebbero inginocchiarsi di fronte agli uomini e ringraziare per questa situazione, il circuito femminile è finito nuovamente nell’occhio del ciclone. Questa volta per un motivo davvero banale: la durata eccessiva della finale di Indian Wells tra Elena Vesnina e Svetlana Kuznetsova.

Il 6-7 7-5 6-4 che ha permesso alla giocatrice di Sochi di aggiudicarsi il titolo più importante della carriera in singolare è stato – per così dire – macchiato dai commenti piuttosto duri giunti sui social network da parte di chi, letteralmente, non vedeva l’ora uscissero dal campo per far spazio al match maschile tra Roger Federer e Stan Wawrinka. “Non c’è nulla da fare: la gente si lamenterà sempre di quello che facciamo” aveva detto Vesnina in conferenza stampa, “se la partita dura poco non va bene perché non c’è spettacolo, se la partita si allunga non va bene perché magari intralcia altri match in programma”. Non è facile essere una tennista in un circuito che ha un’ottima realtà anche al di fuori delle protagoniste col maggiore star power, che offre storie incredibili come quella di Mirjana Lucic Baroni nell’ultimo Australian Open (o la stessa Vesnina ad Indian Wells, che si è poi ritrovata in conferenza stampa con otto giornalisti appena, mentre tutti gli altri seguivano la finale maschile), ma che si trova spesso attaccata con le argomentazioni più semplicistiche ed ormai divenute standard da tanti che lamentano una mancanza di personaggi ed un gioco tutto uguale, salvo poi, quando si chiede di argomentare, rispondere il più delle volte “non seguo il tennis femminile quindi non ti so dire”. Un’idea di inferiorità nello sport (e purtroppo in certi casi non solo in quell’ambito) che fa male, talmente retrogrado da non capacitarsi a pieno dei motivi per cui nel 2017 ancora manchi quel salto mentale che metta da parte commenti evitabili come auspicare l’abolizione del tennis femminile.

Stavolta erano in tanti, non solo i fan, a mostrare sui social (in maniera netta) una forte insofferenza per quella che veniva giudicata una partita di bassissimo livello ed in realtà si stava mostrando come tutt’altro. Come fatto notare nella cronaca, il solo primo set ha contato 45 vincenti tra le due protagoniste in una finale cominciata alle 11 del mattino, con 35 gradi già un’ora più tardi che diventavano 45/50 sul terreno di gioco (la struttura del centrale è quella di un catino più profondo del livello del terreno, quindi che raccoglie ancor più calore) ed un’altra decina di gradi in più per quello che riguarda proprio il campo in cemento. Vesnina e Kuznetsova hanno fatto dunque 3 ore di gioco in queste condizioni, con un livello calato logicamente nel terzo set, ma nel complesso rimasto apprezzabile per tantissimi motivi, primo tra tutti l’equilibrio. Eppure non andava bene. Non meritano tutto questo astio, semmai ammirazione per essersi dannate l’anima in una sauna.

La finale maschile era programmata “not before 13:00”, cioè non prima delle 21 in Italia. Ora, ragionando anche in una finale WTA cortissima, difficilmente i tennisti svizzeri avrebbero cominciato in orario. Bisogna considerare il maggiore intervallo di tempo che passa prima dell’inizio ufficiale del match (15 minuti in questo caso) e la lunga cerimonia di premiazione con allestimento delle scenografie, discorsi, trofeo, coriandoli sparsi sul campo e pulizia. Il not before è stato messo per motivi televisivi: se qualche tv aveva i diritti solo per la finale maschile non si poteva fare affidamento su un “followed by”, ma bisognava stabilire un orario. Dunque perché le 13:00 ora californiana? Per il basket collegiale. Nel fine settimana sono cominciate le fasi finali del campionato NCAA, che negli Stati Uniti è qualcosa di incredibile per la valanga di soldi che vengono investiti dalle tv, per il numero elevatissimo di persone che lo seguono. Ricordate nel 2013 la finale di Miami tra Andy Murray e David Ferrer? Fu fatta giocare alle 11:30 del mattino proprio per avere più tempo e permettere alla ESPN di collegarsi con la NCAA. Il match fu deciso dal tie-break del terzo set, non mostrato dalla tv che sul 6-6 ha staccato il collegamento. Succede tranquillamente, soprattutto se la differenza di investimenti si aggira sulle centinaia di milioni di dollari. Per non intralciare questo evento le finali californiane, dovendo oltretutto seguire l’orario east coast (dove risiede circa il 75% degli spettatori), non potevano che iniziare alle 11 ed alle 13, ovvero alle 14 ed alle 16 ora di New York.

“Siamo scese in campo alle 11 del mattino” sempre Vesnina, “e siamo rimaste in campo in condizioni così difficili per tre ore esprimendo un bel gioco. Sono fiera di quello che io e Svetlana abbiamo fatto”.

Il tennis non è uno sport dove le partite si disputano in un tempo prestabilito. La sensazione è che lo sviluppo così anomalo dell’incontro, molto frequente in ambito femminile (Federer stesso in Australia ha detto di quanto le donne allenassero molto più degli uomini la risposta e che “Bencic mi stava uccidendo in allenamento quando le servivo delle seconde palle”) abbia provocato questo enorme nervosismo di chi voleva che il match di cartello iniziasse al più presto. A torto però, perché un match del genere non aveva nulla da invidiare a nessun altro. Ebbene, il circuito femminile andrà avanti anche contro le idee della maggior parte dei suoi detrattori. E sarà sempre avvincente, anche se a giocarsi titoli Slam dovranno essere un giorno le stesse Vesnina e Kuznetsova che (tra l’altro) insieme contano sette Major vinti tra tutte le categorie, più un oro olimpico ed un titolo delle WTA Finals (entrambe in doppio). Chiamatele scarse, se volete, ma sappiate che sarete in errore.

Diego Barbiani

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