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Auguri Ivan Lendl, fuoriclasse incompreso

Il grande pubblico italiano ha iniziato a conoscerlo nel 1979, nella semifinale di Coppa Davis tra Italia e Cecoslovacchia. Ma in realtà gli appassionati italiani ebbero modo di apprezzarlo già dal 1976, quando a Milano disputò il Torneo dell’Avvenire. Il sedicenne Ivan Lendl si presentò all’Ambrosiano secco come un chiodo e con pochissima attrezzatura, tanto che furono addirittura i soci del circolo a fornirgli qualche maglia di ricambio!
Successe però che il giovane Ivan poteva essere a corto di magliette ma non certo di qualità tecniche, tanto che finì per aggiudicarsi quello che Rino Tommasi definì come “il torneo che non sbaglia mai un pronostico” (tra gli altri vincitori Barazzutti, Borg, Wilander, Cash, Edberg, Ivanisevic, Coria, Monfils e Del Potro).
Nello stesso anno vinse anche l’Orange Blow a Miami, poi nel 1978 si laureò campione del mondo juniores, aggiudicandosi anche il Roland Garros e quel Wimbledon mai più vinto da pro.

Quando si presentò a Roma per disputare la famosa semifinale di Davis non era dunque uno sconosciuto. Aveva già primeggiato a livello giovanile, ma anche come pro iniziava a togliersi delle soddisfazioni. Ottavi di finale a Roma e Roland Garros, prima finale Atp a Bruxelles, semifinali a Linz e Toronto, quarti a Indianapolis e Boston. Insomma, il grande pubblico forse ancora non lo conosceva, ma gli addetti ai lavori sapevano benissimo chi fosse e temevano fortemente che Panatta nel match d’esordio potesse lasciarsi le penne. Finì invece come tutti ormai sanno. Primo set per Adriano 6-4, sospensione per oscurità nel secondo set. Il giorno dopo si riprese sul punteggio di 4-1 per Lendl, che chiuse subito 6-1. Poi il black-out. Panatta iniziò a giocare come soltanto nel benedetto 1976, il giovane Ivan andò nel pallone e si prese un doppio bagel passato alla storia del tennis italiano: 6-0, 6-0!
L’Italia andò in finale e fu asfaltata dal Dream Team di McEnroe e Gerulaitis, ma forse non tutti ricordano che Panatta e Lendl tornarono ad affrontarsi soltanto una settimana dopo. A Barcellona la partita fu molto più equilibrata, ma la spuntò ancora una volta Adriano: 3-6, 6-3, 6-4.
Abbiamo voluto iniziare da qui a raccontarvi la storia di Ivan Lendl, con alcuni episodi che lo hanno legato in qualche modo all’Italia, magari anche per risollevarci un po’ il morale ultimamente un po’ basso…

Il 1980 è l’anno della prima svolta. Arriva a Houston (in finale su Eddie Dibbs) il primo dei sette titoli ATP dell’anno e l’ovvio ingresso nella Top Ten (chiuderà numero 6). Tra fine 1980 e inizio 1981 vince qualcosa come 44 match e 8 tornei consecutivi. Il 1981 è anche l’anno del suo primo exploit in un torneo dello Slam. A Parigi vince una semifinale epica contro Clerc, ma paga lo sforzo in finale contro Borg ed è piegato 6-1 al quinto.
Tra il 1981 e il 1982 è l’autentica bestia nera di John McEnroe, il dominatore dell’epoca (7-0 il parziale nel biennio) ed entra stabilmente tra i primi tre giocatori del mondo: ci rimarrà per i successivi 10 anni (scenderà al numero 4 soltanto il 9 settembre 1991). Sono le sue prime autentiche annate d’oro, nelle quali fa anche doppietta nei Masters di fine anno. Alla fine del triennio 1980-1982 vincerà per tre anni consecutivi almeno 90 match in singolare, impresa mai più riuscita a nessuno dopo di lui.
Nel 1982/83 gioca e perde due finali US Open contro Jimmy Connors. Soprattutto nella seconda partì con i favori del pronostico, ma il vecchio volpone americano riuscì entrambe le volte ad avere la meglio su un Ivan non ancora così Terribile.
Nel frattempo, il 28 febbraio 1983, raggiungeva per la prima volta il numero 1 del ranking, con la scia di immancabili polemiche dovute al fatto che non aveva ancora vinto nessun titolo Slam. Critici troppo frettolosi dimenticavano che aveva in bacheca già 33 titoli ATP a 23 anni non ancora compiuti. Avranno modo di ricredersi…

Il titolo Slam arrivò l’anno seguente a Parigi, nel modo forse più clamoroso e inaspettato. Dopo le difficoltà del biennio 81/82 McEnroe aveva decisamente preso le misure a Lendl, tanto da presentarsi al Roland Garros con un bilancio di 9-1 nel biennio 83/84. Anche gli ultimi due scontri diretti su terra – Forest Hills e Dusseldorf – furono letteralmente dominati da Supermac e la finale di Parigi sembrava seguire lo stesso andazzo: 6-3, 6-2 Mac dopo i primi due set, con il fuoriclasse americano che sciorinava il più bel tennis d’attacco mai esibito su terra battuta.
Quando, improvvisamente, tutto cambiò. La storia di quella partita e – in qualche modo – anche la storia del tennis. Perché Lendl rimontò clamorosamente, vinse il match e il suo primo titolo Slam. McEnroe invece, non avrà più la possibilità di vincere Parigi. Si prese, quasi con prepotenza, una succulenta rivincita in settembre all’US Open, ma quello rimase incredibilmente il suo ultimo trionfo in uno Slam. Chi avrebbe mai potuto immaginarlo quel giorno?

La vittoria di Parigi cambiò radicalmente la carriera di Lendl. Non immediatamente, perché il 1984 continuerà ad essere – e lo sarà per sempre – l’anno di McEnroe. Ma quel successo gli permise di porre le basi per il dominio nel triennio successivo.
Tra il 1985 e il 1987, infatti, Lendl fu il dominatore quasi incontrastato del circuito, con altri due successi al Roland Garros e la tripletta a Flushing Meadows, a cui va aggiunto il tris di trionfi nei Masters di fine anno (5 successi totali).

Il 1988 è l’anno di Mats Wilander, che realizza 3/4 di Slam e lo spodesta dal numero 1 del ranking battendolo nella finale dell’US Open, dopo un dominio che durava da 157 settimane consecutive.
Poco male. Nel gennaio dell’anno successivo vinceva il suo primo Australian Open (successo poi bissato nel 1990) e si riprendeva la prima posizione del ranking, per un totale di 270 settimane complessive (record fino all’avvento di Sampras e Federer).

Il suo cruccio rimase per sempre Wimbledon, l’unico torneo importante che non gli riuscì mai di vincere. Per questo fu dipinto da sedicenti esperti come incapace sull’erba, ma naturalmente le cose non stavano esattamente così. La verità è che si trovò di fronte una generazione di fenomeni e specialisti dei prati (McEnroe, Becker, Edberg, Cash) che gli impedì di vincere il titolo più prestigioso, ma non di realizzare comunque un percorso importante con 2 finali e 5 semifinali. Il tutto su erba vera, rapidissima e con rimbalzo quasi inesistente. Con quella attuale, potete giurarci, almeno un paio di titoli se li sarebbe portati a casa.

Lendl fu definito da osservatori poco attenti come antipatico. Ma non lo era affatto. Anzi, aveva uno spiccatissimo senso dello humor. Ma fuori dal campo. Tanto che una volta il nostro amato Gianni Clerici gli chiese perché non sorridesse ogni tanto quando era in campo. Lui rispose che non c’era niente da ridere laggiù…
Quando nell’ottobre del 1990 vinse il suo 88° titolo ATP a Tokio, battendo Edberg e Becker, gli chiesero che effetto gli avesse fatto battere i numeri 1 e 2. Rispose che ci doveva pensare, visto che non gli succedeva da 10 anni…

Il suo marchio di fabbrica resterà per sempre il suo running forehand, il fenomenale dritto in corsa. Ma col tempo anche rovescio e servizio divennero armi letali. Fu in un certo senso l’inventore del tennis moderno, il primo a curare con metodi moderni la preparazione atletica e a realizzare con efficacia un tennis d’attacco dalla linea di fondo campo. I suoi duelli con McEnroe prima e con Becker ed Edberg poi resteranno memorabili.
Vinse il suo 94° e ultimo titolo nell’ottobre del 1993 a Tokyo su Todd Martin. Pochi mesi dopo giocò la sua ultima finale perdendo da Sampras a Sidney. Poi la schiena iniziò a non dargli tregua e decise di abbandonare quando ancora era numero 54 del mondo.

Dopo la fine della sua carriera sparì per un (bel) po’. Finché un bel giorno del 2012 Murray lo annunciò come suo nuovo coach. Inizialmente qualcuno storse la bocca, ma mai scelta fu più azzeccata. Con Lendl in panchina Murray ha raggiunto i suoi più grandi successi (3 Slam, 2 Olimpiadi e un Master), compreso l’attuale numero uno nel ranking mondiale. L’ennesimo successo in una vita di successi.

Enzo Cherici

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Enzo Cherici
Tags: Ivan Lendl

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