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Le fatiche dei giovani tennisti

Quattro mesi, da ottobre a febbraio, quando a stare in campo ci si sente quasi degli eroi. Giocare con il freddo pungente che ti taglia il respiro e congela la mano non è un piacere ma pura passione mossa da chi sa che le fatiche invernali, quando si entrerà nel vivo della stagione, saranno ripagate. E allora con lo spirito fanciullesco intatto inizia la tanto temuta ma indispensabile preparazione fisica tra atletica e cesti sfiancanti alla ricerca della brillantezza perduta.

D’inverno fa freddo, piove, il sole di rado si ricorda di riscaldare i circoli capitolini. Le palle gonfie di umidità si mimetizzano con il campo pesante che taglia le gambe e il fiato, già messi a dura prova dopo le otto ore passate in ufficio a fissare quell’amato e odiato monitor. Il grande orologio digitale nero con i numeri blu elettrico appeso fuori dalla segreteria segna le 18:30 di un lunedì pomeriggio che fa registrare appena 3° gradi destinati nella serata a scendere ma con l’immancabile maglia termica e i pantaloncini, come guanto di sfida all’aria gelida che atrofizza i muscoli delle gambe, sono pronti a sudare per una nuova sessione di allenamento.

I campi illuminati di luce propria a causa delle rigide temperature hanno righe simili a lastre di ghiaccio e regalano rimbalzi irregolari, un valore aggiunto per chi ha deciso di fare sul serio in uno sport dove l’unica certezza è che alla fine ci sarà un solo vincitore. Ci si scalda in palleggio a metà campo con impugnature a martello alla ricerca di sensibilità poi da fondo, attivando mente e corpo tra un amichevole sfottò ed il racconto della partita giocata nel weekend nella coppa a squadre invernale, tanto per non perdere l’abitudine alla competizione. E poi dopo una serie di dritti e rovesci colpiti a ripetizione in scambi lungo linea e diagonali ritenuti sufficienti per eliminare le ultime scorie appartenenti al mondo esterno, si inizia a fare sul serio. Cinquanta minuti di pura follia che fanno da collage tra il riscaldamento iniziale ed i punti finali, per sentirsi più vivi che mai e consapevoli di poter resistere un anno ancora ai tanto temuti cubi.

I cubi (noti anche con il nome di spagnolo lungo e spagnolo corto) rappresentano l’essenza stessa del tennis. Infatti con lo spagnolo lungo si allena contemporaneamente sia la fase difensiva sia la fase offensiva in una rapida successione di colpi e traiettorie da pensare e giocare sui diversi angoli del campo. Dal toppone difensivo di dritto incrociato che sorvola la rete si entra nel campo per giocare un accelerazione di dritto lungo linea. La stessa sequenza di colpi e schema tattico viene ripetuto con il rovescio in un moto continuo tra spostamenti avanti e indietro a tagliare diagonalmente il campo fin quando i polmoni riescono a inalare aria e le gambe a sorreggere una così sconfinata passione. Lo spagnolo corto a prima vista può apparire più divertente e quasi innocuo per il fisico, visto che si giocano un attacco ed una volèe alternati muovendosi in una superficie di campo minore rispetto alla precedente. Ma al termine della serie con il cuore che batte all’impazzata, la sensazione di totale disorientamento e la percezione di aver corso a vuoto come una pallina in un flipper ci accorgiamo di aver erroneamente sottovalutato quanto i repentini scatti dalla metà campo alla rete sarebbero stati logoranti per anima e corpo.

Per i “giovani tennisti” il freddo ormai è solo un lontano ricordo. Con le loro magliette tecniche firmate in Dri-Fit che evaporano sudore apprezzano le fatiche di una serata dicembrina perché hanno la lucidità di capire, anche dopo un centinaio di palle giocate, che quando il sole tornerà a splendere vivranno un’altra stagione tennistica da protagonisti.

Francesca Amidei

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