Lo vedi mettere alle corde Roger Federer per 3 ore e 20, ne ammiri la rapidità con cui si muove sul campo, lo stupendo timing sulla palla, la pulizia dei gesti. Poi, malinconico déjà vu, è lui a lasciare per primo la Rod Laver Arena. Kei Nishikori, ancora una volta a un passo dai primi. Da oltre tre anni gravita tra la quarta e l’ottava posizione mondiale ma il suo palmares, a 27 anni, è ancora privo di allori pesanti, quelli che fanno la storia del tennis. Zero Slam, zero Masters 1000, zero ATP Finals, zero ori olimpici. Solo 11 vittorie in tornei minori e tante, troppe, occasioni mancate.
La più clamorosa chance di vincere uno Slam Nishikori l’ha gettata al vento agli US Open 2014. Da n.11 del mondo supera in cinque set Raonic (n.6) negli ottavi e Wawrinka (n.4) nei quarti; in semifinale il capolavoro con il n.1 Djokovic. In finale, con Cilic (n.16) che sembrava l’ostacolo più facile, la resa in tre set. La storia si è quasi ripetuta nell’ultima edizione dello Slam newyorkese. Stupenda vittoria in cinque set nei quarti con un Murray reduce dalla vittoriosa doppietta Wimbledon/Olimpiade, poi, in semifinale, il crollo alla distanza con Wawrinka.
Anche nei Masters 1000 il giapponese si è bloccato più volte a un passo dal traguardo. Clamorosa la lezione di tennis che stava impartendo a Nadal nella finale di Madrid 2014 prima che un infortunio alla schiena lo costringesse al ritiro.
Quest’anno come non ricordare sennò la sconfitta in semifinale a Roma al tie-break del terzo set con Djokovic e quelle in finale a Miami e Toronto con lo stesso serbo? Senza poi tralasciare la semifinale olimpica persa con Murray, poi parzialmente addolcita dal bronzo conquistato su Nadal. Sempre a un passo dai primi e dal successo finale. Ma cosa manca a Nishikori per compiere quell’ultimo ma lunghissimo step?
Nel tennis moderno il talento, e Nishikori ne ha da vendere, non basta. Come cantava Luca Carboni, ci vuole un fisico bestiale. Le misure del giapponese, 178 centimetri per 75 chili, non corrispondono decisamente a quelle del tennista ideale. È pur vero che lo stesso Chang, attuale allenatore di Nishikori, alto tre centimetri di meno, in carriera ha vinto un Roland Garros e sette Masters Series (gli attuali Masters 1000). Ma quelli erano altri tempi. Alla mancanza di potenza Nishikori ha sempre supplito con un formidabile gioco di anticipo, stile Agassi, ben coltivato dallo stesso mentore, Nick Bollettieri. I problemi maggiori derivano da una minore resistenza fisica, rispetto ai top player, e una naturale predisposizione all’infortunio.
La pressione sulle spalle di Nishikori è enorme. Un paese intero ne segue le gesta. Ogni suo match è seguito in televisione da almeno 10 milioni di giapponesi. Il suo primo allenamento nell’ultima edizione del torneo di Tokio ha richiamato 9.000 spettatori sulle tribune. Decine di giornalisti lo seguono dappertutto. È costretto a vivere in Florida perché in Giappone non potrebbe neppure uscire in strada senza essere assalito dai fan. Secondo la rivista Forbes, Nishikori ha contratti pubblicitari per circa 30 milioni di dollari all’anno (di cui 10 solo da Uniqlo). D’altronde è il primo giocatore nato in Asia che ha raggiunto la top ten mondiale e la finale di uno Slam. La sua storia somiglia un po’ a quella di Murray, schiacciato dalla pressione di un paese che ha dato i natali al tennis moderno ma i cui fasti erano fermi alle gesta del mitico Fred Perry. Poi lo scozzese si è sbloccato e sono arrivati tre Slam (due Wimbledon), due ori olimpici e la prima posizione mondiale.
È dura la vita del predestinato. A 14 anni, senza sapere una parola d’inglese, viene spedito dagli sponsor in Florida a Bradenton da Bollettieri. La cultura del lavoro, da buon giapponese, non gli manca. Cresce come un pollo d’allevamento. Tennis, tennis e tennis. Lontano dalla famiglia e dagli affetti. Il carattere introverso non lo aiuta. L’obiettivo iniziale ha un nome: “Progetto 45”, la più alta classifica mai raggiunta da un giapponese dopo la numero 46 toccata da Shuzo Matsuoka nel 1992. La raggiunge nel 2011, a 21 anni. Da allora l’asticella si è sempre alzata costantemente. Adesso manca solo l’ultimo salto.
Chissà se anche delle buone letture potrebbero aiutare Nishikori a compiere il fatidico ultimo passo che lo separa dai primissimi e dalla conquista di un titolo prestigioso. Si potrebbe far prestare da Zachary Gilbert, suo vecchio compagno di stanza all’Accademia di Bollettieri, quell’interessante libretto di suo padre Brad “Vincere sporco”. Poi il suo coach Chang dovrebbe imporgli la lettura di quel capolavoro scritto dal suo lontano antenato Sun Tzu “L’arte della guerra”. Perché Nishikori ha ampiamente dimostrato di saper vincere le battaglie, ma è giunta l’ora di vincere la guerra.
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