Federer Dio, Nadal Gladiatore, RoboNole e tutti quelli che hanno perfino superato le aspettative dell’esigentissima platea tennistica portano avanti il baraccone, in un momento dove è chiaro ci sia una voragine creata dalla Lost Generation, un esercito di campioni mancati o a metà, di fenomeni attesi come Godot che sono rimasti a metà strada o che non sono nemmeno partiti.
A cosa sia dovuta questa mancanza non è poi così chiaro, anche se ci si affretta a dire che con dei ritmi del genere il professionismo è più complesso da accettare e assorbire, l’esserlo comporta rinunce che troppo giovani non si è disposti a fare.
Può darsi. Ma non è forse qualcosa con cui i campioni di ieri han dovuto misurarsi? E certamente qualcuno non c’è riuscito. Tra i nati nei tardi anni ’80 e i nineties sono tanti quelli che hanno deluso, che lo stanno ancora facendo o, che è peggio, si sono accontentati anche in momenti in cui avrebbero potuto ritagliarsi un attimo di gloria. Altri ancora li stiamo aspettando ma per ora tutti stanno a cavallo tra Inferno e Purgatorio, in quelli che chiamiamo i gironi della delusione.
I dispersi
Bernard Tomic
Diciamolo subito senza troppi indugi: è un giocatore? D’accordo, certo: ha le sue scusanti. Un padre incommentabile, un’educazione allo sport assente, vicende personali non trasparenti. Però forse della sua generazione era quello con più mezzi, forse anche più di Dimitrov. Un rovescio pesante e preciso, una fluidità di colpo non indifferente. Margine di miglioramento enorme, mai sfruttato, mai potenziato, forse mai compreso. Finito lì, in un limbo di assenze e comparse rarefatte. Sì, ha vinto tre tornei: due volte a Bogotà e una volta a Sidney, qualche risultato buono qua e là… ma abbiamo smesso di aspettarlo da tempo.
Ricardas Berankis
“Chiiii? Non lo conosco”, esclamerebbe Maurizione Mosca. E probabilmente avrebbe ragione. Eppure il ventisettenne Berankis (lituano, per chi ancora cercasse di capirne l’identità) da junior era considerato un sicuro top ten, vincitore dell’Orange Bowl e numero uno del mondo juniores. Invece neanche tra i 100 nei professionisti. Poca voglia? Sopravvalutato? È possibile che ci fossimo tutti sbagliati? Evidentemente. Ma era un bell’abbaglio.
Gianluigi Quinzi
Uno dei dolori di casa nostra. Lo ricordo in un campo secondario del Roland Garros, giocare contro un altro spilungone americano durante uno dei suoi tanti tornei da junior: imprecava in sei lingue per poi finire in italiano a prendere in giro avversario e se stesso.
Lo ricordiamo tutti a Wimbledon trionfare e riempire le bocche di speranze e paroloni, in attesa di un futuro radioso. Invece dov’è Gianluigi Quinzi oggi? Ha “solo” 20 anni, va messo in conto. Ma ce li ha anche Sascha Zverev, tanto per citarne uno per un paragone pesante. Voleva smettere: il professionismo è troppo duro, pressante, difficile. Poi però decide di continuare, adesso di nuovo tra i 300. Ma è lecito aspettarsi ancora qualcosa? Forse per un altro annetto, poi basta.
Ernests Gulbis
Ah sì, lo so. Qui parlerete di quarti e semifinali Slam. Ma forza, alzi la mano chi pensa di sapere dove fosse Ernestone nostro prima delle qualificazioni (perse) a Rotterdam. Gli piacciono i grandi palcoscenici, gli piace battere i grandi giocatori. Alla fine forse gli piace anche un po’ il tennis ma lo spreco qui è davvero tanto: un dritto indecente (o reso tale), ma il rovescio del miglior Safin, un servizio letale e anche una discreta sensibilità. Nessuna ambizione, nessuna necessità di fare soldi, rimasto tra noi soltanto perché papà Gulbis gli ha detto “Gioca o finisci in ufficio, in azienda”. Allora ogni tanto ci degna.
Gli appagati
Tomas Berdych
Con Tomas entriamo nel girone più impervio, dove le linee di confine tra delusione e reale potenzialità/contesto sono più sottili, a volte invisibili, comunque esistenti. Berdych è un appagato: in una delle ere del tennis più dispotiche tra Federer, Nadal, Djokovic e Murray avrebbe potuto fare poco più di quello che ha poi fatto, su questo siamo d’accordo. Però non lo ha fatto. Gente probabilmente meno dotata o ugualmente dotata ci è riuscita: i Wawrinka, Del Potro (con tutti i suoi problemi), i Cilic e compagnia non si sono accontentati. Lui sì. Nel momento in cui ha lavorato sulla mobilità, è sceso quanto a efficacia di colpi e imprevedibilità: una coperta troppo corta che non si è poi curato di allungare. Vivacchiare in top ten e godersi la vita accanto a Ester.
Jo Wilfried Tsonga
Vi vedo già pronti con le mani avanti: eeeehh ma Jo troppi infortuni. Un fisico notevole, difficile da gestire. Esuberante, un tennis particolare per essere vincente. Stesso discorso di Berdych: accontentarsi e vivacchiare. Uno che batte in quel modo Nadal nel 2008 in una semifinale Slam, Federer a Wimbledon in quarti tre anni dopo recuperando due set, che arriva a vincere tornei importanti… non avrebbe forse potuto approfittare di qualche sbandata dei supereroi? Certo che sì. E invece no.
Richard Gasquet
Il discorso per “Riccardo cuor di telone” è un po’ diverso. Super osannato da bambino, sbattuto in prima pagina a 13 anni, paragonato al coetaneo Rafa e quindi poi subito ributtato a terra, Gasquet ha sopportato una pressione che avrebbe potuto condurlo al manicomio in pochi anni. Rovescio sublime, sensibilità eccelsa, nessuno ha mai saputo migliorare un dritto scadente e una seconda di servizio precaria; nessuno è mai riuscito a fargli credere nella vittoria, a dargli un po’ di quel fuoco o quella cattiveria. E nessuno, soprattutto, lo ha mai convinto a giocare vicino alla linea di fondo, vera pecca di un tennis che avrebbe potuto trovare qualche gloria in più ma che invece si è accontentato di non finire nel dimenticatoio.
Gli indecisi
Nick Kyrgios
Il cavallo pazzo Nick è uno che non puoi prevedere se si alzerà, cosa vorrà, quali saranno i suoi desideri e le sue ambizioni. È ancora lì, incerto sul da farsi, su quale sport gli piaccia di più, se davvero ha fatto bene a quindici anni a scegliere il tennis invece del basket. Ad andare avanti senza un coach o a trovarne uno vero, ad alzarsi la mattina e allenarsi duramente o poltrire giocando coi Pokemon. Kyrgios è qualcosa che sta a metà tra una risposta di dritto fulminante che ti fa alzare dalla sedia incredulo e la rinuncia a giocare quel game; in bilico tra le vittorie contro Federer e Nadal e le sconfitte amare contro sconosciuti. Un anno, forse due. Poi il tennis andrà avanti anche senza di lui.
Thanasi Kokkinakis
Non si vuole essere troppo duri con Kokkinakis, vent’anni e già una spalla rimessa a posto, infortuni continui e fisico che cede a ogni passo: però forse la volontà di cambiare passo viene meno, così come un po’ di grinta. Eppure rispetto al suo coetaneo e conterraneo Nick, il suo tennis è più completo e più raffinato. Una virata decisa, Thanasi. Almeno una.
Milos Raonic
Con Raonic inauguriamo la frangia della Lost Generation nel girone degli Indecisi. Gli indecisi dal mezzo successo, chiamiamoli così. A Raonic la voglia non manca: ha fatto e sta facendo di tutto per tirare fuori il meglio da se stesso. Allenatori, consiglieri, specialisti, fisioterapisti, preparatori; i miglioramenti ci sono e si vedono, i risultati parlano. Al momento decisivo, però, si squaglia. Come neve al sole. Non c’è una volta che non sia così. Questione di tempo, dite? Non è più un bimbo. Di mezzi? Con servizio e dritto gli Slam si sono vinti. L’indecisione in quei momenti? Ecco, girone suo.
Kei Nishikori
Il malato. Immaginario? No, dai, non siamo così severi. Il fisico di Nishikori è quello che è, limitato. Non potrebbe mai dominare il circuito e non glielo chiediamo, infatti. Però quante occasioni ha avuto il giapponese? Contro Cilic a New York nel 2014. La finale di Madrid contro Nadal. Contro Wawrinka lo scorso US Open per riprovarci. Federer agli Australian Open il mese scorso. E molte altre ancora. Ed è sempre lì, che sta arrivando, che è arrivato. Poi quando è il momento di aprire la porta, se ne va. Troppa paura.
Grigor Dimitrov
Il “nuovo Federer” è morto. Per fortuna di Grigor, quella fase tremenda è alle spalle. Perso tra allenatori sempre nuovi, Maria Sharapova e femmine in giro per il mondo, il tennis era parso meno pesante. Poi era proprio scomparso. Incredibile ma vero, Dani Vallverdu, ex allenatore-riserva di Andy Murray (e poi di molti altri) è riuscito a tirargli fuori un po’ di equilibrio. Forse per la decisione è troppo tardi, però.
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