Melbourne, finale del primo Grand Slam della stagione, anno non definibile: D’Alessandro contro Federer. Un sogno di una notte di mezzo inverno, il risveglio con un sorriso ancora inconscio, poi la colazione e la ricostruzione dei momenti salienti della strana nottata. A pensarci bene non ho nemmeno mangiato pesante ieri sera, i peperoni risalgono a una settimana fa e non credo che gli effetti si manifestino con tale ritardo. Quindi mi sono dovuto arrendere all’evidenza e a un pizzico di invidia: mio padre ha giocato contro Federer in una Rod Laver Arena gremita di gente.
Federer proveniva dalla semifinale contro il connazionale Wawrinka. D’Alessandro si era imposto al quinto set contro il fratello Enrico che, se la genealogia non m’inganna, è mio zio. Il fatto che abbiano giocato la semifinale sulla terra rossa del circolo sotto casa non importa, la consideriamo “licenza poetica notturna”. Enrico, favorito alla vigilia, ha sofferto il back mancino del fratello, ha perso sicurezza nel suo colpo forte, il dritto, e, dopo qualche ora di gioco – altro particolare non definibile – si è dovuto arrendere. Comunque una bella prova per lui che da “non classificato” si trova tra i primi giocatori del mondo, particolare che prenderemo in considerazione più avanti.
Dopo la vittoria in semifinale, come in ogni buona trama che si rispetti, è sorto un problema: “ora dobbiamo partire per l’Australia” – “eh sì, dobbiamo prendere un volo prima che sia tardi, è venerdì, tra due giorni sarai in campo” – “certo che i voli costeranno una cifra” – che sciocchi, ignoravamo che sarebbero entrati nelle casse di famiglia almeno un milione e trecentomila euro. Ho saggiamente saltato le ore di aereo, gli scali tra Dubai e Bangkok e mi sono trovato direttamente a Melbourne. Ed è lì che è nato un altro problema: “cosa indosserò in campo?” – “bella domanda, di certo non puoi giocare con t-shirt, pantaloncini e scarpe firmate RF” – “che inoltre sono di qualche anno fa. Entrerei in campo con la maglia con cui Federer giocò il Roland Garros 2009” – “no, non puoi, mettiti quella maglietta gialla senza il suo logo, è meglio”.
Poi il match. La tattica? Innanzitutto sfruttare il vantaggio del “mancino”: dritto arrotato sul rovescio di Roger “poi se chiude è bravo lui” e di cercare di appiattire i ventitre anni di differenza con discese a rete e accorciando gli scambi. Io sedevo nel “nostro” angolo: da una parte c’erano i quattro gemellini di Roger e dall’altra c’ero io, figlio unico, a guardare i nostri papà giocarsi il torneo. Ricordo poi l’evidente gap nella velocità durante la prova dei servizi – il riscaldamento me lo sono perso tutto, chissà perché – con Federer che manteneva la velocità di crociera dei 190 km/h e mio padre che invece puntava, con esperienza, sulla precisione e la rotazione di palla.
Poi? Poi mi sono svegliato e quindi non saprò mai chi ha vinto quella finale. Ho chiamato mio padre per saperne di più (Roger dava sempre occupato) ma non mi ha saputo o voluto rispondere; forse non ha ancora digerito la sconfitta. Io, sinceramente, credo che lo svizzero fosse favorito nonostante il gran tennis mostrato dal suo avversario, il quale, in ogni caso, ha fatto un bel salto in classifica: in caso di sconfitta 1200 punti che, considerando l’assenza dell’anno passato, gli garantirebbero la posizione 31 del ranking ATP (scalzato Marcos Baghdatis); in caso di vittoria 2000 punti che lo catapulterebbero alla 18, (spiacente Alex Zverev, non è ancora il tuo momento). Bel salto anche per il fratello Enrico: 720 punti che lo conducono alla posizione 65 insieme all’argentino Juan Monaco. Beh, per due che fino a ieri sera erano “non classificati”, mica male!
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