Lunedì scorso il sito ufficiale dell’Atp ha celebrato l’ingresso di David Goffin tra i primi 10 giocatori del mondo. Si è trattata della sua prima volta nella Top Ten del tennis quindi non possiamo che congratularci con lui: bene, bravo, bis!
Nella finale di domenica scorsa a Rotterdam però, il belga contro Tsonga ha messo in mostra una personalità simile a quella d’un pesce rosso e non ha mai dato – neanche quando era al comando – l’impressione di poter portare a casa match e titolo. Peccato, perché i mezzi tecnici sarebbero di prim’ordine. Manca altro. Per tanti vale il motto “vorrei ma non posso”, il suo sembra più un caso di “potrei ma non voglio”.
Ci scusiamo preventivamente con il buon Goffin. Entrare per la prima volta nella lista dei magnifici 10 è un risultato straordinario e da parte nostra meritava sicuramente di essere celebrato con maggiore enfasi. Il nostro voleva essere, ovviamente, uno scherzoso paradosso. Abbiamo più che altro approfittato della sua prestazione di Rotterdam per sviluppare una riflessione più ampia. Partendo da una domanda semplice semplice: ma quando arrivano questi benedetti ricambi?
Li aspettiamo da anni, ma non sbocciano mai. Goffin, tanto per citare solo l’ultimo esempio, ha 26 anni. Ma il giocatore belga, lo dicevamo poc’anzi, ha forse già raggiunto la sua massima aspirazione. Il problema è rappresentato dagli altri. Raonic e Nishikori hanno 26 e 27 anni, ma zero titoli dello Slam (una finale persa) e zero titoli Masters 1000. Dimitrov, che ha iniziato benissimo il 2017, di anni ne ha comunque 25 e solo due semifinali Slam in carriera.
Capiamoci bene, si tratta naturalmente di una questione legata alle aspettative. Se una semifinale Slam la giocasse il nostro Paolino Lorenzi si tratterebbe ovviamente di un’impresa storica. Ma qui parliamo di giocatori che vengono annunciati da anni come dei “futuri vincenti”, quasi dei predestinati, ma che ogni anno che passa vedono quel futuro allontanarsi sempre di più. Tanto che più di qualcuno inizia a chiedersi se non bisognerà ormai rassegnarsi all’idea di aspettare direttamente la generazione successiva, quella dei Kyrgios (acqua), dei Pouille (sempre acqua?), dei Thiem (fuochino) o degli Zverev (fuoco). Si vedrà.
Certo è che in un passato neanche troppo lontano le cose andavano diversamente. Non sappiamo dire quanto tutto questo sia generato dalla presenza di tre fenomeni come Federer, Nadal e Djokovic (in rigoroso ordine di Slam vinti). Fatto sta che dal 2004 – primo anno del dominio di Federer – ad oggi si sono giocati 53 tornei del Grande Slam: ben 43 sono stati vinti da Roger (17 titoli), Rafa (14) e Nole (12)!
In questo lasso di tempo – 13 anni – abbiamo avuto la miseria di 9 vincitori di Slam. A parte i tre fenomeni poc’anzi citati, gli altri sono stati Murray e Wawrinka (3 titoli ciascuno), Gaudio, Safin, Del Potro e Cilic (1). Risultato: poca varietà e sorprese quasi del tutto assenti.
Per comprendere come si tratti di un fatto abbastanza unico e straordinario, basta compiere la stessa analisi per il periodo precedente.
Nei 52 tornei dello Slam giocati tra il 1991 e il 2003 ci sono stati ben 22 vincitori diversi (Becker, Courier, Stich, Edberg, Agassi, Sampras, Bruguera, Muster, Kafelnikov, Krajicek, Kuerten, Rafter, Korda, Moya, Safin, Ivanisevic, Hewitt, Johansson, Costa, Ferrero, Federer e Roddick). I più titolati Sampras (13) e Agassi (8), tanto per rendersi conto che di fenomeni ce n’erano anche in quel periodo. Terzo, staccatissimo, Courier con 4 titoli concentrati in meno di due anni.
Tutto questo per dire – e torniamo alla finale di Rotterdam – che anche se non erano Sampras e Agassi a giocarsi il titolo (gli attuali Federer/Nadal/Djokovic), in quei tempi potevamo gustarci con uguale piacere una finale Stich vs Edberg, Safin vs Kuerten o Rafter vs Ivanisevic. Oggi ci toccano Goffin e Tsonga. Ed è dura, molto dura, rimanere svegli sul divano…
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