Tanto tuonò che piovve. Dopo mesi di “ma no è un incidente”; “ma no è un periodo”; “ma no è Parigi”; “ma no vedrete”; forse varrà la pena di prendere atto che Djokovic ha imboccato il suo viale del tramonto. Le modalità saranno da stabilirsi, visto che si è campioni ognuno a proprio modo e si declina come si può, ma certo da oggi in poi Novak Djokovic non è più il favorito numero 1 dei tornei a cui partecipa. Il che non significa necessariamente che non vincerà più, forse sì e forse no, ma che abbiamo smesso di vedere le partite del serbo con l’idea che solo un cataclisma avrebbe impedito la vittoria di quello che fu RoboNole. E il tennis, che non vuole ancora lasciar andare né Roger né Rafa, si trova ora a dover fare i conti col fatto che rischia a rimane col solo il brutto anatroccolo del quartetto, l’unico a dare qualche garanzia. Andy Murray da quando ha perso contro Nishikori ha fatto soltanto finali e fino a Doha le aveva vinte tutte. Avrebbe vinto pure quella se non fosse un giocatore diverso dagli altri tre, più disposto a lasciare spazi a motivazioni che probabilmente fatica a comprendere fino in fondo.
Se lo scozzese era favorito anche con la presenza di Djokovic, figurarsi ora che il serbo si è tolto di torno. Così come a Wimbledon l’eliminazione del serbo aveva consegnato con una settimana d’anticipo la corona ad Andy anche a Melbourne le cose potrebbe non essere diverse. Ma esattamente come a Wimbledon qualche insidia qui e lì c’è. E se a giugno si chiamava Roger Federer, qui assume altri nomi, oltre a quello dello svizzero. Appare abbastanza improbabile anzi che sia lui il suo rivale nei quarti di finale – i prossimi due turni di Andy avranno un esito non troppo diverso da quello con Andrei Rublev, giovanotto da tenere d’occhio – visto che Federer da domani inizia la sua personale via crucis. Dopo Berdych, se ci sarà un dopo, l’incerto Re di questi tempi troverà Kei Nishikori, e se mai davvero arrivasse da Murray allora significherà che nell’anno di grazia 2017 non si è smesso di fare i conti con Mister 17 Slam. Che sia possibile nessuno lo mette in dubbio, che sia probabile è altra faccenda, perché la verità è che di quello spicchio di tabellone il favorito è il giapponese. E il quarto contro Murray sarebbe una appassionante rivincita dello US Open.
Tutto considerato la semifinale potrebbe trovare un qualche motivo di interesse se ad arrivarci ci fosse Bernard Tomic, che uscito Kyrgios è rimasto l’australiano su cui puntare. Ma se Kyrgios è imprevedibile Bernard è pure peggio e dopo le delusioni del 2016 sembra un azzardo aspettarsi chissà cosa. Tomic ha superato facilmente Bellucci ma è riuscito a perdere un set contro Estrella Burgos, cosa che non depone certo a favore di una solidità finalmente conquistata. La stessa partita contro Evans, giustiziere del solito misterioso Cilic, non è certo scontata. E poi ci sarebbero Tsonga (o Sock) e Wawrinka, al quale Seppi ha aperto una specie di autostrada fino alla semifinale.
Nella parte bassa tutto sembra più divertente a partite dal match più interessante del terzo turno, quello tra Rafael Nadal e Alexander Zverev. Forse è eccessivo scomodare il paragone con il Sampras-Federer di Wimbledon 2001 – non foss’altro perché Pete era il detentore del titolo mentre Rafa ha vinto appena 11 partite negli ultimi sei slam disputati – ma non siamo tanto lontani da lì. Zverev ha disposto di Tiafoe senza battere ciglio ma con Haase non era andata così liscia. Rafa invece ha mostrato la sicurezza di questi ultimi tempi, che però sembra sempre smarrirsi di fronte alle prime serie difficoltà. In ogni caso chi vince prima di approdare a Raonic – anche se il canadese, come sempre, non sembra fisicamente a posto – avrà di fronte o Monfils o Kohlschreiber.
Nell’ultimo spicchio di tabellone, proprio quello lasciato “libero” da Djokovic, niente sarebbe più naturale che assistere a Thiem-Dimitrov, finalmente. Eppure non sarà semplicissimo né per Dimitrov, che dovrà addomesticare Gasquet, uno che a volte trova la giornata buona, a patto di essere lontani dalla finale; né, soprattutto, per Thiem, atteso da due partite molto complicate: la prima contro Paire, che non sai mai da quale parte del letto si svegli, e l’altra presumibilmente contro Goffin, se il belga riuscirà a venire a capo di Karlovic.
Insomma, magari alla fine vince Murray (o Wawrinka) ma sarebbe davvero sorprendente se al posto di un nome nuovo a giocarsi la finale dell’Australian Open 2017 arrivasse Nadal.
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