“È dentro o fuori?” Nadal lo chiede per buona parte dell’allenamento, il primo in assoluto con l’amico ed ex rivale, Carlos Moyá, che da appena due settimane fa parte dell’equipe tecnica del vincitore di 14 Major. “Rafa, non è importante se è la palla è dentro o meno. Pensa a come l’hai colpita, piuttosto. Il resto adesso non conta.”
Il campione dell’edizione 1998 degli Open di Francia, con indosso l’ormai celebre cappellino portato all’indietro, ammonisce il suo nuovo allievo con tono secco ma rispettoso, senza dare l’impressione del professore che rimprovera l’alunno. “Oggi mi sono reso conto che Rafa è un giocatore che non si perdona nulla.” Ammette poi Moyá non appena termina l’allenamento, agli stessi cronisti, per lo più spagnoli, che hanno appena assistito al pomeriggio di lavoro.
Si è trattata di una seduta interminabile, come tradizione vuole per il numero 9 del ranking; sono arrivati entrambi a Melbourne Park nella mattinata, prendendo posto nel Campo 2, prima di fare ingresso, più di due ore dopo, all’interno di una desolata e surreale Rod Laver Arena. “È troppo esigente con sé stesso e non si perdona nessun tipo di errore: dovrà riuscire ad alleggerire questo tipo di impacci. Oggi si trattava solamente di un allenamento, ma lui si è chiesto tutto il tempo se la palla fosse entrata o meno. Piuttosto che vivere con quest’ansia, Rafa dovrà iniziare a pensare quanto abbia osato durante un punto.
Se decidi di cambiare, di evolvere, e ti scoraggi al primo errore diventa poi impossibile proseguire. Serve calma, è una cosa importante e occorre abituarsi.”
Più tardi arriverà anche Toni Nadal, a cui basterà, come al solito, un sussurro o un’occhiata fugace per correggere qualche piccolo movimento errato da parte del nipote. Dall’altra parte del net, di fronte all’ex numero 1 del mondo, hanno preso posto Marc Lopez e Carlos Moyá, iniziano a variare il ritmo alla pallina, che Nadal ribatte sempre più forte, e nelle più angolate zone del campo.
Si tratta di un uno contro due, conosciuto anche come “gioco all’australiana”; il cronista di El Español lo descrive accuratamente, senza evitare i dettagli.
Anche Marc Lopez interviene con la stampa: “Quando Rafael allena gli angoli come oggi, necessito di qualcuno che stia al mio fianco, altrimenti non potrei mai recuperare quei colpi“. Tuttavia Moyá sembra non amare particolarmente l’altra abitudine che Rafa ha sempre avuto: “A lui piace molto sentire la pallina sulla racchetta, eppure a me non entusiasma particolarmente un palleggio di quaranta minuti giocato in direzione centrale, e per di più lentamente; è inverosimile. In questo modo invece, alzando il ritmo e utilizzando gli angoli, diventa tutto più realistico e utile.”
Sono ormai le quattro del pomeriggio, e sulla punta del naso del maiorchino iniziano a scivolare le prime gocce di sudore; “El Matador” grugnisce sempre più forte, si ode anche qualche imprecazione dopo il secondo diritto sbagliato di seguito. “Abbiamo provato diversi esercizi” continua Moyá. “Gli ho inserito un limite massimo di colpi con cui chiudere un punto, cercando di privilegiare quegli scambi dove potrebbe avere un piccolo vantaggio offensivo; l’attacco va arricchito” conclude. “Questo è ciò che ha fatto per tutta la carriera, dunque sarà difficile mettere in pratica altro, ma ci proveremo.”
A Melbourne, al tramonto, si è chiuso il sipario su questa reciproca ed esauriente “prima volta” per entrambi. Carlos Moyá è stato propositivo, ha provato a non giocare un ruolo statico, cercando una soluzione di continuità senza drastici cambiamenti, per aiutare il campione di nove Roland Garros a tornare ancora alla vittoria.
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