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Di Australian Open, di sorprese, di belle partite. Di Federer

Il dritto incrociato con cui Federer ha chiuso gli Australian Open 2017 ha suggellato un’edizione indimenticabile dello slam forse più affascinante del circuito. Non si respirerà l’imbolsita tradizione dei verdi prati londinesi o l’area decadente dello scenario parigino – e naturalmente neanche quel misterioso muoversi frenetico, sempre quello, sempre uguale per quanto è diverso, dello US Open – ma complice la distanza dai luoghi in cui in genere si accampa tutto il circo del tennis mondiale, addetti ai lavori compresi, le due settimane di Melbourne sono spesso le migliori dell’anno.

A parte il girovagare già raccontato le due settimane di torneo finiscono per creare complicità addirittura tra giocatori e giornalisti, tra trainer e addetti all’organizzazione che altrove rimangono abbastanza attaccati ai propri ruoli. Oltre a questo stavolta il torneo è stato uno dei più belli che sia possibile ricordare. A parte la finale, epica a partire dal nome dei protagonisti, sia tra gli uomini che tra le donne ogni giornata è stata a suo modo indimenticabile. E ci sono state tante di quelle partite indimenticabili da farci stare a posto per almeno qualche altra decina di slam.

Il torneo era iniziato col botto, cioè con la netta sconfitta di Simona Halep, che è riuscita a racimolare appena quattro game contro Shelby Rogers. Ma subito avevamo avuto la splendida partita di Martin Klizan, capace di andare avanti di un break al quinto set contro Wawrinka, prima di cedere.  Due giornate più o meno tranquille e poi l’incredibile: Novak Djokovic va avanti due set a uno contro Denis Istomin e incredibilmente cede 6-4 al quinto.

Una sorpresa del genere non si aveva forse dai tempi di Soderling al Roland Garros, ma non c’è tanto il tempo di stare sul pezzo perché l’indomani è il giorno della verifica di Roger Federer. Contro Tomas Berdych, si dice, vedremo se davvero è competitivo. La risposta è folgorante perché Federer in meno di un’ora e mezzo impartisce una vera e propria lezione di tennis, e vola negli ottavi. Il giorno dopo prima viene eliminata la vincitrice delle Finals di Singapore e poi Nadal riprende una gran partita a Zverev. Ma l’incredibile prima settimana si chiude con la sconfitta del numero uno al mondo, Andy Murray, incapace di trovare una contromisura al sistematico S&V del fratello grande di Alexander, Mischa e quella contemporanea di Angelique Kerber, superata da Coco Vandeweghe. Il tutto nel giorno in cui Federer batte Nishikori in cinque set.

La seconda settimana assisteremo ancora alla splendida cavalcata di Venus Williams, alla favola di Lucic-Baroni e dopo i deludenti quarti di finale il torneo maschile esplode: cinque set per Federer-Wawrinka, cinque per Dimitrov-Nadal e ovviamente la finale. Resteranno negli occhi lo scoramento di Klizan, la gioia di Istomin, il volto accigliato di Djokovic e quello più infastidito che irritato di Murray, la splendida partita di Dimitrov contro Nadal e mille altre cose che vi verranno in mente.

E resterà negli occhi la felice incredulità di Roger Federer che sul tabellone della Rod Laver Arena osserva il suo “dritto a seguire il servizio” (quante migliaia di volte un cronista avrà scritto così?) stamparsi in quella linea bianca su fondo blu e che gli impediva di stramazzare al suolo e piangere, così come aveva fatto le 17 volte prima. E resterà l’espressione di Nadal, mentre chiede all’arbitro di verificare il punto, come estremo tentativo di salvare una partita che era volata via nel sesto game del quinto set, quando prima un nastro ha spostato un rovescio in corridoio dopo una risposta un po’ fortunosa di Federer; poi un rovescio incrociato di Federer, che ha fatto molti danni per tutta la partita, lo ha trovato lontano dalla palla; e infine quando lo schema che per 12 anni ha fatto avvilire lo svizzero – e chissà quante migliaia di tifosi e appassionati – lo ha tradito: toppone di dritto sul sul rovescio di Federer nella diagonale sinistra e, appena Federer ha accorciato il rovescio lungolinea, dritto a uscire dall’altra parte.

Solo che era una palla break e che quel dritto è uscito di qualche centimetro. La partita di Nadal è finita lì, perché Federer lo ha travolto nei punti successivi, chiudendo il suo servizio con due ace, un servizio vincente e un S&V in poco più di minuto e poi si sapeva che sarebbe stata questione di tempo, minuto più minuto meno. Forse queste semplici considerazioni però, a mente un po’ meno calda, raccontano di un Nadal strano e solito allo stesso tempo. Sarà sembrato strano a chi il tennis lo segue più o meno saltuariamente e aveva il ricordo dell’ultima finale di Rafa, quella del 2014 contro Djokovic a Parigi.

È sembrato abbastanza normale a chi si ricordava che Rafa, da quel giorno, non era quasi mai più riuscito ad arrivare alla seconda settimana di uno slam – tranne il solito Roland Garros – e che anche in questo un paio di volte è tornato su da dei veri e propri baratri. Insomma Federer chiude un cerchio nel modo forse più inaspettato, ma questo slam lo svizzero lo ha vinto più tra terzo e quarto turno che nelle fasi finali. Troppo ampio il divario tecnico con Wawrinka in semi e troppo stanco Nadal in finale perché Roger finisse col perderle queste partite, il che non significa che non abbia rischiato.

Perché se Atene Nadal piange Sparta magari riderà anche, visto che ha vinto, ma questo rugoso Federer sa di cosa parla quando dice “se non ci rivedremo sarà stato bellissimo”. Sa che il suo meraviglioso rovescio ha impattato un dritto di Nadal che era lontano parente di quello che in altri tempi lo aveva condotto all’avvilimento. Sa che parecchi vincenti, parecchie volée oggi definitive, ieri sarebbero tornate con ben altra forza e con il rivale pronto a colpirle ben piantato sui piedi, grazie alla sua incredibile rapidità.

E sa che il suo “dritto dopo il servizio” sia ad uscire o incrociato, può certo far molto male ma non è più un colpo definitivo. Troppe lacune per chiedere qualcosa di più di un finale di partita che sia scintillante, prima di essere avvolto dal buio. E questo regalo che ha fatto a se stesso e ai suoi tifosi, forse più bello perché vissuto da parte di tutti con la consapevolezza che stavolta è davvero finita, merita che si lascino da parte tutti i discorsi su quanto è forte adesso, quanto è stato forte prima e per quanto tempo ancora ce lo godremo. E anche se quella è la domanda che ci facciamo tutti per una volta, la risposta non conta poi molto.

Quando Murray raggiunse la vetta del ranking ATP Federer fece un tweet:”We have a new King in the town”. Oggi, il vecchio Re, ha ripreso il suo regno.

Roberto Salerno

Nato a Palermo, ho scritto un paio di racconti, vari saggi, circa 700 articoli di tennis, ma vado fiero solo di qualche flash, di una in particolare. Sono stato inviato non è tutto questo granché. "è favorevole ad un discorso democratico, in cui tutti parlano e poi lui spiega i motivi per cui gli altri hanno torto"

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